L’ ONORE DI UN SOLDATO
ITALIANO NELLA GRANDE GUERRA
Sergio Benedetto Sabetta
I venti di guerra che in questi giorni soffiano violentemente
sull’Europa, nel richiamare le problematiche dell’U.E. in termini di
compattezza diplomatico-militare e di mancata differenziazione nelle forniture
energetiche, mette alla prova l’Italia sul piano internazionale, indipendentemente dalle rassicuranti
dichiarazioni ufficiali.
Non si prova
solo il peso specifico di ciascuna Nazione all’interno dell’Europa e della
NATO, ma anche la sua unione morale.
A questo
riguardo è interessante ricordare un episodio del tutto minore, anonimo e non
cruento avvenuto sul fronte francese durante la Grande Guerra, tra un generale
francese della Legione e un umile fantaccino italiano, modesto caporale ed ex
legionario di nome Edoardo Landi, nonché dell’orgoglio con cui evidenziò la
necessità del rispetto reciproco tra Alleati.
Il fatto
ricordato è riportato sul taccuino personale dello stesso, diario ritrovato
casualmente su una bancarella in un mercatino in cui si legge la difficile vita
giornaliera del Landi, tra conti in rosso riportati e considerazioni personali
sulle vicissitudini della vita.
“Il 13 maggio moriva a Parigi in età di 59
anni il generale Carlo Mangin.
Volle il Destino che, durante la mia lunga permanenza
nella Legione Straniera Francese (1898-1912) io avessi occasione di vederlo,
nel 1911 a Oudjda (Marocco). Egli era allora tenente colonnello e comandava un
battaglione d’infanteria leggera d’Africa, i famosi zephirs; recentemente
soppressi, e partecipò con le sue truppe alle operazioni che sotto il comando
del generale Lejantaj, dovevano purgare dai ribelli (!) il vasto territorio
dalla Molouja a Zara.
Ma un’altra occasione io ebbi di vedere il generale
Mangin e questa volta parlargli. Egli era allora comandante della X^ armata
(nel 1918, durante la guerra europea) composta esclusivamente (meno poche
unità) di truppe coloniali: arabi, tonchinesi, malgasci, senegalesi, di cui
Mangin versava negli assalti il sangue senza risparmio, a torrenti, tanto da
guadagnarsi il soprannome di boucher (macellaio).
Nel luglio 1918 io mi trovavo con una squadra di
territoriali italiani, a lavorare ad un impianto di fili telegrafici presso al
Quartiere Generale della Decima armata francese a Belleu. A un tratto, una
automobile passa: si ferma davanti a noi, ne scende il generale Mangin, che con
la sua abituale familiarità che lo faceva amare dai soldati che egli conduceva
al macello, mi domanda a bruciapelo (in francese)
-
Che fate qui?
-
Generale, ripariamo i fili
telefonici.
-
Voi parlate bene il francese!
-
Sì, generale, poiché ho avuto l’onore
di servire per 14 anni nella gloriosa Legione Straniera.
-
Ah! Sì, e siete voi contento, adesso,
di stare in Francia?
Volli tirargli una botta che somigliasse ad un complimento, poiché troppi
ricordi amari erano in me e risposi:
-
Generale, io sono così contento
adesso di stare in Francia, come i soldati Francesi sono contenti di stare in
Italia.
Egli aggrottò le folte sopracciglia nerissime e un lampo passò sui occhi
grifani; ma fu un attimo, e con un gesto largo e grandioso tirò fuori una
moneta d’oro da venti franchi, e me la mise in mano, dicendomi con accento che
mi giunse al cuore:
-
Ben detto, caporale. Ecco questo per
bere un bicchiere di vino alla salute della gloriosa e vecchia Legione.
( Dal diario del legionario di Edoardo
Landi, 1925).
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