APPROFONDIMENTI
1859,
i Cacciatori delle Alpi nella II
guerra d’indipendenza
di
Osvaldo Biribicchi
Il termine
Cacciatori, nel secolo XIX, indicava la fanteria cosiddetta leggera in quanto
dotata di armamento ed equipaggiamento leggeri. In particolare, almeno nella
fase iniziale, si chiamavano cosi le milizie che sorgevano spontaneamente per
combattere l'oppressore ed affermare i principi di nazionalità. I componenti di
questi reparti irregolari erano caratterizzati, a tutti i livelli, da audacia e
spregiudicatezza, doti queste che ne esaltavano l'impiego nell'esplorazione,
nei colpi di mano e nelle azioni offensive. In Italia è rimasto particolarmente
famoso il Corpo dei Cacciatori delle
Alpi, fondato nel 1859.
Per meglio
comprendere la nascita di questo particolare Corpo, è necessario conoscere
sommariamente la situazione politica, in quel periodo, nel regno sabaudo.
Solo pochi mesi
prima, a luglio del 1858, si era svolto a Plombières, una cittadina termale
della Francia orientale, un convegno segreto tra il Presidente del Consiglio
dei Ministri piemontesi, Camillo Benso Conte di Cavour, e l'imperatore francese
Napoleone III.
Nel corso di
quell'incontro, Napoleone III si impegnò ad intervenire contro l'Austria, a
fianco del Piemonte, nel caso in cui quest'ultimo fosse stato aggredito dagli
austriaci. In caso di vittoria, sarebbe stato creato sotto Casa Savoia un Regno dell’Alta Italia comprendente il Lombardo-Veneto, i Ducati di
Modena, di Parma e le Legazioni pontificie; mentre la Francia, in cambio dell'aiuto prestato, si sarebbe annessa la Savoia e la città di Nizza appartenenti al Regno di
Sardegna. Cavour, ottenuto dalla
Francia l'impegno a scendere in campo militarmente, si adoperò in tutti i modi
per provocare
l'Austria affinché facesse il primo passo verso la guerra.
Gli inizi del 1859
furono caratterizzati da segnali che preannunciavano l'imminenza di un
conflitto. Il re Vittorio Emanuele II, in un discorso al parlamento, pronunciò la celebre frase: ”...non siamo insensibili
al grido di dolore che da tanti parti d'Italia si leva verso
di noi” che
aveva tutto il sapore di una aperta sfida all'Austria. Cavour, da parte sua,
sull'onda delle emozioni che il discorso del re aveva suscitato, permise e
favorì l'arruolamento di volontari
provenienti da tutta l'Italia, in particolare dal Lombardo–Veneto, da affiancare all’esercito regolare. Il 17 marzo 1859
con decreto reale veniva istituito il Corpo dei Cacciatori delle Alpi, al
comando di Giuseppe Garibaldi, nominato per l'occasione Maggior Generale dell'esercito
sardo, ed alle dipendenze del Ministero degli Interni.
Al neocostituito Corpo,
però, non vennero assegnati i volontari migliori; questi ultimi furono inseriti
nei ranghi dell'esercito regolare. A Garibaldi vennero dati i più giovani, con
scarsa o nulla esperienza militare, i più anziani e quelli scartati per difetti
fisici. Di contro, gli ufficiali furono quelli voluti da lui, tutti valorosi
combattenti che si erano distinti nel 1849 nella difesa della Repubblica Romana
e di Venezia.
I Cacciatori delle Alpi
erano poco più di tremila uomini ordinati in una brigata su tre reggimenti,
senza artiglieria, con una cinquantina di cavalleggeri per l'esplorazione ed un
efficiente ospedale da campo diretto dal medico milanese Agostino Bertani,
esule a Genova, che avrà poi una funzione importante nella spedizione dei
Mille. Il corpo sanitario dei “Cacciatori” fu insignito di medaglia di bronzo
al valor militare per la alacre opera svolta.
Garibaldi ed i suoi
uomini, dunque, indossarono l'uniforme dell'esercito sardo. Per l'addestramento,
furono inviati nei depositi di Cuneo e Savigliano nonché a Rivoli presso Susa. Dei
tre reggimenti, i primi due, i migliori, furono posti al comando del tenente
colonnello Enrico Cosenz e del colonnello Giacomo Medici.
Mentre gli ufficiali di
Garibaldi inquadravano i volontari, Cavour faceva, provocatoriamente,
ammassare truppe sul confine con il Lombardo-Veneto per compiere delle esercitazioni. L'Austria, allarmata, il 23 aprile 1859 ordinò al Piemonte il disarmo immediato. Era l'aggressione
tanto cercata da Cavour che, naturalmente, rifiutò e lasciò che la parola
passasse alle armi.
Il 26 aprile 1859
l’Austria dichiarò guerra al Piemonte: iniziava la seconda guerra d'indipendenza.
Il giorno seguente, l'esercito austriaco al comando del Generale Giulay
varcò la frontiera piemontese. L'avanzata fu subito rallentata dall'allagamento
delle risaie nel vercellese.
La Francia, da parte
sua, come stabilito, inviò in aiuto dell'esercito sabaudo un forte contingente
di cui Napoleone III ne assunse il comando supremo; alla metà di maggio circa
120.000 francesi erano concentrati nella zona di Alessandria.
I franco–piemontesi, con
alcune puntate offensive verso Pavia, diedero agli austriaci l'impressione di
voler penetrare in Lombardia da sud mentre, in realtà, si trattava di uno
stratagemma per mascherare i veri piani che prevedevano di entrare in Lombardia
da nord.
Il primo grosso
combattimento avvenne a Montebello[1],
il 20 maggio 1859, dove gli austriaci furono battuti dall'azione congiunta
della cavalleria sarda e della fanteria francese; dieci giorni dopo a Palestro[2]
gli austriaci subirono una ulteriore sconfitta, a seguito della quale decisero
di riattraversare il Ticino per attestarsi a difesa della frontiera lombardo-veneta.
Garibaldi, intanto, con
i suoi Cacciatori delle Alpi, il 23 maggio aveva attraversato risolutamente il
Ticino e sorpreso nella notte il presidio austriaco di Sesto Calende. La notte
successiva, dopo aver vinto le resistenze austriache, entrò a Varese accolto da
una folla di cittadini in delirio. Gli austriaci, a questo punto, gli inviarono
incontro una Divisione di tremila uomini, potentemente armata, al comando del
Generale Urban. I Cacciatori furono
sottoposti ad un incessante fuoco di artiglieria ma non indietreggiarono,
resistettero fino a quando la fanteria austriaca non fu che “a 50 passi di
distanza”, come aveva loro ordinato Garibaldi, e poi gli riversarono
addosso una micidiale scarica di pallottole. Subito dopo, in pieno stile
garibaldino, si avventarono alla baionetta sul nemico.
Gli austriaci, sotto
l'incalzare dei Cacciatori delle Alpi, si ritirarono disordinatamente.
Garibaldi non poteva fermarsi, sarebbe diventato un facile bersaglio per il
nemico, la sua doveva essere una guerra di movimento. Si avviò, pertanto, verso
Como facendo credere al nemico di passare per Camerlata invece passò per San
Fermo dove superò, dopo uno scontro sanguinoso, la forte resistenza austriaca.
Di notte entrò a Como,
anche qui accolto festosamente dalla popolazione. Garibaldi era riuscito ad
ottenere l'allontanamento degli austriaci da tutta la zona lombarda del lago
Maggiore e, dopo una serie di spostamenti tattici, puntò su Lecco e da lì a
Bergamo dove vi entrò l'8 giugno alla testa dei suoi Cacciatori. Qui, l'11 giugno, con una solenne cerimonia,
consegnò ai suoi uomini le onorificenze ricevute dal governo e lesse un ordine
del giorno, emanato in nome del re, in cui erano esaltate le imprese del
piccolo Corpo. La sera stessa si mise in marcia per Brescia ove vi entrò il 13
giugno.
I franco-sardi, nel
frattempo, il 4 giugno avevano sconfitto gli austriaci a Magenta[3]
aprendosi così la strada verso Milano ove, l'8 giugno, vi entravano fianco a
fianco Napoleone III e Vittorio Emanuele II.
Gli austriaci
ripiegarono verso il Quadrilatero (Mantova, Verona, Peschiera e Legnago) per
una difesa ad oltranza ma il giovane imperatore Francesco Giuseppe assunse il
comando diretto delle operazioni e riprese subito l'offensiva.
Il 24 giugno sulle
alture di San Martino e Solferino, a sud del lago di Garda, su un fronte di una
quindicina di chilometri si affrontarono circa 300.000 uomini, fra
austriaci e franco– piemontesi, con oltre 26.000 cavalli e 1.500 pezzi di
artiglieria.
In questo fatto d'arme,
i Cacciatori delle Alpi ebbero un ruolo molto importante sul piano strategico
in quanto dalle Prealpi lombarde minacciavano – puntando verso la valle
dell'Adige – le spalle dell'Armata austriaca dislocata nel Quadrilatero.
La battaglia di San
Martino e Solferino, l'ultima della II guerra di indipendenza, si risolse con
la vittoria dei franco–piemontesi ma ad un prezzo altissimo di vite umane. Essa
non fu solo la più sanguinosa tra quelle combattute nelle guerre
d'indipendenza, ma una delle più sanguinose combattute fino ad allora in
Europa. Alla sera del 24 giugno, sul campo di battaglia giacevano 40.000
uomini, di cui 11.000 morti e 29.000 feriti. Di questi ultimi, 5.000 morirono
nei giorni successivi per i postumi delle ferite riportate. Napoleone III,
condizionato dai cattolici francesi per i possibili danni che il prolungarsi
della guerra di indipendenza italiana avrebbe finito per arrecare oltre che
alla Francia stessa anche allo Stato pontificio, propose a Francesco Giuseppe, all'insaputa
di Cavour, un armistizio poi firmato a Villafranca l'11 luglio 1859. Il 10
novembre a Zurigo veniva siglata la pace che poneva fine alla guerra ed
imponeva all’Austria la cessione, per il tramite della Francia, della sola
Lombardia al Regno Sardo ed il ritorno dei sovrani spodestati nei ducati di
Modena, Parma e nel Granducato di Toscana.
Vittorio Emanuele II
accettò suo malgrado, mentre Cavour sentendosi ingannato da Napoleone III si
dimise da primo ministro.
I Cacciatori delle Alpi all’atto dell’armistizio
superavano i 12.000 uomini, articolati su cinque reggimenti, «ed occupavano le
quattro vallate: Valtellina, Camonica, Sabbia e Trompia, sino alla frontiera
col Tirolo»[4].
Con la fine della
seconda guerra di indipendenza gli austriaci non erano stati annientati ed il
Veneto, contrariamente alle aspettative, era rimasto nelle loro mani.
«La brusca interruzione della guerra costituiva una palese
violazione dei patti di alleanza tra i due paesi (Il Piemonte e la Francia), e
così la promessa dell’indipendenza dell’Italia settentrionale, dal Ticino
all’Adriatico, svaniva completamente. L’interruzione della seconda guerra
d’Indipendenza, portò come conseguenza un malcontento fra gli appartenenti al
Corpo Garibaldino dei Cacciatori delle Alpi, molti dei quali diedero le
dimissioni per protesta, in seguito alla fusione del Corpo Garibaldino con
l’Esercito nazionale […] Anche Garibaldi lasciava, allora, con comprensibile
cruccio il Comando dei Cacciatori delle Alpi ed indirizzava a Vittorio Emanuele
II una lettera, datata da Lovere, 1 agosto 1859, che però non giunse mai a
destinazione»[5].
Gli anni immediatamente
successivi furono, comunque, importanti. Il 1860 fu l'anno dei plebisciti per
l'annessione al Piemonte dell'Italia centrale e dell'ex regno borbonico; sempre
in quell'anno Nizza e la Savoia furono cedute alla Francia e Garibaldi, alla
testa dei Mille, sbarcò in Sicilia.
Bibliografia sommaria
Bertini Enrico,
TIMOTEO RIBOLI Medico di Garibaldi, 1986.
Garibaldi
Giuseppe, Memorie con una Appendice di Scritti Politici, Biblioteca Universale Rizzoli,
Milano.
Sitografia sommaria
http://www.150anni-lanostrastoria.it/index.php/ii-guerra-indipendenza
https://www.centrodellamemoriasavigliano.it/giacomomedici/
http://www.combattentiliberazione.it/seconda-guerra-dindipendenza-1859
https://comune.magenta.mi.it/aree-tematiche/cultura/
https://www.comune.montebellodellabattaglia.pv.it/m-vivere/m-infoutili/storia
https://www.difesa.it/Content/150anniversario/Pagine/LeBattaglieSolferinoeSanMartino.aspx
[1]
In ricordo della battaglia combattuta nel 1859, il comune di Montebello, in provincia
di Pavia, nel 1958 ha ricevuto il nome di Montebello della Battaglia.
[2]
Nel comune di Palestro, in provincia di Pavia, il 28 maggio 1893 fu inaugurato un
Ossario per conservare le reliquie dei Caduti piemontesi, francesi ed austriaci
nelle battaglie del 30 e 31 maggio 1859.
[3]
A Magenta, in provincia di Milano, il 4 giugno 1872 fu inaugurato un Ossario
per conservare le reliquie dei Caduti piemontesi, francesi ed austriaci nella
battaglia del 4 giugno 1859.
[4]
Garibaldi Giuseppe, Memorie con una Appendice di Scritti Politici,
Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1998, p. 232.
[5] Bertini
Enrico, TIMOTEO RIBOLI Medico di Garibaldi, 1986, p. 178.
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