Ricordare Pietro, a dieci anni dalla scomparsa significa
riflettere su un segmento della nostra storia, la resistenza dei militari
italiani all’estero, e più in generale le scelte di politica estera e
socio-economiche del nostro paese del tempo. Significa constatare che a 75 anni
di distanza quanto successo nel 1943 e negli anni successivi è stato
volutamente ignorato e, per precisa volontà, non incide nelle scelte attuali.
Trovarsi come tutti i soldati italiani, ed in particolare
quelli stanziati fuori del territorio nazionale abbandonati a se stessi, senza
più nessun alleato e nessun amico, circondati da popolazione civile ostile e
nemici feriti nell’orgoglio e pronti a sfogare in modo crudele il loro
risentimento di alleati traditi, è una situazione che metaforicamente in questi
ultimi mesi si è riproposta al popolo italiano più di una volta.
La massima espressione democratica quale è la elezione del
Capo dello Stato, si è risolta in un compromesso funzionale, quasi una scelta
obbligata, in virtù della inconsistenza di una classe politica di trovare le
soluzioni democratiche e funzionali all’interesse della nazione. L’unico
candidato alla Presidenza che si è espresso è stato un personaggio che da anni
imperversa sulla scena politica nazionale, amico di colui che oggi devasta un
paese europeo in modo violento, che frantuma ogni cardine della nostra
tradizione della famiglia, cadine della nostra società, proponendoci un matrimonio-non
matrimonio e che ha sempre dimostrato di anteporre i suoi interessi a quelli
della collettività. Vi sono larghi strati della politica che da quando sono
stati eletti al parlamento e rappresentano il partito di maggioranza relativa
dall’inizio del loro mandato hanno cambiato posizione ed atteggiamento ad ogni
annuncio di stagione (basti pensare alla campagna per uscire dall’euro); altri
ancora, con l’etichetta di “sovranismo” combattono l’Europa in ogni maniera,
per creare un regionalismo le cui prospettive sono solo fame e miseria. Infine
il revival contro cui Pietro di è battuto, il ritorno dell’uomo della
Provvidenza, che al termine di venti anni di governo, oggi indicati come
eccellenti, fu detronizzato dai suoi stessi luogotenenti, poi definiti traditori
da chi si era messo al servizio del tedesco invasore sognando un “ritorno
all’origini” senza riflette che quel ritorno stava portando ancora lutti,
divisioni, macerie e fame. Infine la classe politica ha dimostrato ancora una
volta il suo fallimento, per una parte della quale la vita umana non ha valore
con la richiesta di allentamento o cancellazione di norme anticovid, fallimento
prima morale e poi materiale nel momento in cui si è dovuto chiamare un
generale per combattere e ridurre la minaccia di questa infezione, con lo
strascico di coloro, autodefinitesi NOVAX, cioè candidati potenziali senza
difese per il suicido scelto e voluto, non solo per loro ma anche per altri.
A dieci anni dalla morte di Pietro possiamo anche avanzare la
domanda, (in sua presenza non avremmo mai formulata): a che cosa è servita la
Resistenza, la lotta del popolo italiano per non avere più guerre, fame,
tragedie, violenze e un vivere quotidiano sereno, prospero ed un futuro
accettale?
Chi scrive è il figlio
della generazione che fece la Resistenza e deve ai tantissimi Pietro una vita,
guardandosi indietro, degna di nota, una vita che i miei figli invidiano. “Tu
avevi la certezza di…, tu hai la certezza della pensione…, tu hai avuto una
scuola che prima educava e poi istruiva…, tu sul posto di lavoro avevi diritti,
tu avevi sindacati che erano sindacati.., non venduti… tu come generazione
avevi un futuro…” Tutte cose che si sono realizzate. In pratica l’Italia degli anni del secondo
dopoguerra che un altro socialista ha iniziato a distruggere. Oggi i nostri
giovani hanno un quadro di prospettiva diverso.
Dopo una pandemia devastante, oggi viviamo con la paura della
guerra, che pensavamo fosse stata bandita dall’Europa. Il dramma dell’invasione
che nel 1939 subì la Polonia, nel 1940 La Danimarca e la Norvegia, il Belgio e
la Francia, poi nel 1941, la Russia, La Jugoslavia La Grecia, oggi lo rivediamo
in Ucraina. Stesse modalità, stessa propaganda, stessi eroismi, stesse
menzogne, stessi fiancheggiatori, un revival su vasta scala che ci terrorizza.
Ricordando Pietro, certamente a lui non farebbe piacere
sapere che anche i suoi nipoti si potrebbero trovare nelle stesse sue
condizioni del settembre 1943: dover scegliere tra essere internato o salire in
montagna o essere alla mercè di un nemico spietato.
Tutto quanto sopra porta ad una conclusione che potrebbe
essere un punto di riferimento delle nostre scelte future. Ruggero Zangrandi
nella dedica ad un suo volume sulla ricostruzione della crisi armistiziale
scrive:
“…Dedico questo lavoro
a mia figlia Gabriella ed ai giovani della sua età Nella fiducia che una conoscenza non
convenzionale di quel che accadde in Italia intorno all’8 settembre 1943
concorra a far loro imparare prima il male che possono arrecare a un Paese le
cattive azioni di capi vili e quanto poco il sacrifico di migliaia di uomini
semplici riesca poi a porvi rimedio”
Per me, questa è la grande eredità di Pietro, e l’ammirazione
e la stima nate fin dal primo momento che ci siamo incontrati si sono
consolidate al confronto con il tempo e con le sfide che la vita ha posto. Un
ricordo indelebile, attivo e sempre fonte di orientamento. Pietro è ancora con
noi.
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