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giovedì 30 aprile 2020

Circolo Filatelico e NUmismatico Spoleto "G Romoli"


Spoleto: Ricordare la Prima guerra mondiale

In occasione del 90° anniversario dalla conclusione della Grande Guerra il 31 ottobre scorso [2008] si è inaugurata a Spoleto una mostra molto particolare, a cura del Circolo Filatelico e Numismatico “G. Romoli”. Nel coreografico chiostro di San Nicolò vengono esposte alcune collezioni private di interessante valore storico. Oltre a francobolli e cartoline, trovano spazio fotografie, oggettistica cartacea, mappe, immagini in bianco e nero e a colori; insomma tutti elementi che raccontano la storia dei fatti bellici, sia quelli più altisonanti da “Stato Maggiore”, sia quelli più intimi e personali di vita vissuta. Un modo curioso e stimolante nel tentativo di narrare le vicende del nostro Paese alle varie generazioni che, ormai per evidenti dati anagrafici, non ricordano quasi più neanche la Seconda guerra mondiale.
L’inaugurazione della mostra è stata l’occasione per una conferenza dal titolo “La I Guerra Mondiale, la memoria ed il ricordo”, organizzata dalla sezione UNUCI di Spoleto e patrocinata dal Comune umbro. In questa occasione gli interventi del presidente locale dell’Unione degli ufficiali in congedo, il generale Franco Fuduli, e del sindaco, Massimo Brunini, hanno voluto rammentare il valore del ricordo e la peculiarità del territorio di Spoleto ricco di memoria storica passata e recente.
Le relazioni dei tre conferenzieri sono state invece l’occasione per esaminare nel dettaglio alcuni aspetti non sempre noti o presenti nei libri di divulgazione storica.
Ha aperto il discorso il generale Massimo Coltrinari, esperto di logistica e di strategia, che ha inquadrato gli anni della guerra nei contesti specifici dei vari fronti. Passando da un tipo di guerra tradizionale, come quella in campo aperto, a quella di trinceramento non sempre i comandi dei due schieramenti hanno saputo cogliere con arguzia le peculiarità del contesto bellico. L’incapacità di saper cogliere le occasioni, magari seguendo degli schemi troppo rigidi e tradizionali, hanno portato gli eserciti in lotta a uno scontro di ardito logoramento, dove solo la conta dei morti e dei superstiti poteva attribuire la Vittoria a chi avesse più carne da mandare al macello.
Questa chiave interpretativa, che nulla toglie ovviamente al valore patriottico e al merito dei combattenti nel riscatto nazionale e al pieno compimento del Risorgimento italiano, vuole allo stesso tempo mostrare come la Grande Guerra è stata l’occasione mancata per risolvere una volta per tutte le discordie internazionali e portare almeno a una pace in parte condivisa. Proprio questa brutalizzazione del conflitto ha introdotto l’intervento di Giovanni Cecini, giovane storico militare e politologo, che ha trattato l’esperienza della trincea nel contesto internazionale. Da subito ha voluto chiarire come l’atemporalità e l’assenza di distinzioni geografiche abbiano caratterizzato i vari fronti. Le trincee sulla Somme, sull’Altipiano di Asiago, sui Carpazi o in Prussia non avevano differenze. La nebbia, la pioggia, il fango, il puzzo delle ferite e dei morti erano sempre uguali, asfissianti e plumbei. Ecco perché la guerra ha modificato nella sostanza la generazione dei Ragazzi del ’99 e del 1900, partiti per la guerra con la convinzione di partecipare a una “festa”, alla rigenerazione della società, dopo decenni di corruzione politica e culturale. L’asprezza della vita in comune agli altri (nelle molte differenze linguistiche e culturali di stampo regionale) con numerose privazioni e con il sempre presente contatto con la morte, modificherà notevolmente i valori cavallereschi e patriottici di molti soldati, aprendo le porte ai totalitarismi a partire dai primi anni Venti.
L’ultima relazione è stata quella del tenente colonnello Osvaldo Biribicchi, ufficiale superiore d’artiglieria, che ha illustrato in maniera tecnica e chiara gli schieramenti e la dinamica dell’ultima battaglia, quella di Vittorio Veneto, che appunto nell’ottobre di novanta anni fa ha dato la definitiva spallata al fronte meridionale dello schieramento della Triplice Alleanza. In questo contesto fu fondamentale il rinsaldamento nazionale a seguito del pesante arretramento dovuto dall’avanzata austro-tedesca su Caporetto dell’anno precedente. Il nuovo comando di Armando Diaz seppe recuperare una certa stabilità al fronte, concentrando le sue energie in modo razionale e sapendo cogliere a pieno la crisi politico-militare, che già serpeggiava a Vienna e a Berlino. Anche in questa occasione il fattore “uomo” fu decisivo, nel desiderio soprattutto di dare la parola “fine” ad un conflitto che da quattro anni imponeva alla Nazione sacrifici non solo di natura economica, sociale ma soprattutto umana. La liberazione di Udine, Trento e Trieste hanno rappresentato l’esempio di come il desiderio di unificazione nazionale fosse un elemento sentito dai combattenti, anche se gli angusti pertugi delle trincee erano anni luce distanti dai comodi salotti romani, dove si riunivano i politici e gli industriali per i loro non sempre trasparenti affari.
L’affluenza di pubblico e la presenza di alcuni giovani studenti e studentesse hanno premiato l’iniziativa spoletina, che ancora una volta dà merito e plauso agli organizzatori di eventi del genere. Non è mai superfluo ricordare il passato, troppo spesso giudicato lontano e inutile, se è l’occasione di riflessione e lezione per il presente e per il futuro. Non a caso ampio risalto è stato dato, da parte di Biribicchi, alla recentissima morte dell’ultimo soldato combattente nel 1918, il bersagliere Delfino Borroni, che all’età di 110 anni fino a pochi giorni prima era ancora testimonianza vivente dei valorosi Ragazzi di Vittorio Veneto.

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