Spoleto: Ricordare la Prima guerra mondiale
In occasione del 90° anniversario
dalla conclusione della Grande Guerra il 31 ottobre scorso [2008] si è
inaugurata a Spoleto una mostra molto particolare, a cura del Circolo Filatelico e Numismatico “G. Romoli”.
Nel coreografico chiostro di San Nicolò vengono esposte alcune collezioni
private di interessante valore storico. Oltre a francobolli e cartoline,
trovano spazio fotografie, oggettistica cartacea, mappe, immagini in bianco e
nero e a colori; insomma tutti elementi che raccontano la storia dei fatti
bellici, sia quelli più altisonanti da “Stato Maggiore”, sia quelli più intimi
e personali di vita vissuta. Un modo curioso e stimolante nel tentativo di narrare
le vicende del nostro Paese alle varie generazioni che, ormai per evidenti dati
anagrafici, non ricordano quasi più neanche la Seconda guerra mondiale.
L’inaugurazione della mostra è
stata l’occasione per una conferenza dal titolo “La I Guerra Mondiale, la memoria ed il ricordo”, organizzata dalla
sezione UNUCI di Spoleto e patrocinata dal Comune umbro. In questa occasione
gli interventi del presidente locale dell’Unione degli ufficiali in congedo, il
generale Franco Fuduli, e del sindaco, Massimo Brunini, hanno voluto rammentare
il valore del ricordo e la peculiarità del territorio di Spoleto ricco di
memoria storica passata e recente.
Le relazioni dei tre
conferenzieri sono state invece l’occasione per esaminare nel dettaglio alcuni
aspetti non sempre noti o presenti nei libri di divulgazione storica.
Ha aperto il discorso il generale
Massimo Coltrinari, esperto di logistica e di strategia, che ha inquadrato gli
anni della guerra nei contesti specifici dei vari fronti. Passando da un tipo
di guerra tradizionale, come quella in campo aperto, a quella di trinceramento
non sempre i comandi dei due schieramenti hanno saputo cogliere con arguzia le
peculiarità del contesto bellico. L’incapacità di saper cogliere le occasioni,
magari seguendo degli schemi troppo rigidi e tradizionali, hanno portato gli
eserciti in lotta a uno scontro di ardito logoramento, dove solo la conta dei
morti e dei superstiti poteva attribuire la Vittoria a chi avesse più carne da
mandare al macello.
Questa chiave interpretativa, che
nulla toglie ovviamente al valore patriottico e al merito dei combattenti nel
riscatto nazionale e al pieno compimento del Risorgimento italiano, vuole allo
stesso tempo mostrare come la Grande Guerra è stata l’occasione mancata per risolvere
una volta per tutte le discordie internazionali e portare almeno a una pace in
parte condivisa. Proprio questa brutalizzazione del conflitto ha introdotto
l’intervento di Giovanni Cecini, giovane storico militare e politologo, che ha
trattato l’esperienza della trincea nel contesto internazionale. Da subito ha
voluto chiarire come l’atemporalità e l’assenza di distinzioni geografiche
abbiano caratterizzato i vari fronti. Le trincee sulla Somme, sull’Altipiano di
Asiago, sui Carpazi o in Prussia non avevano differenze. La nebbia, la pioggia,
il fango, il puzzo delle ferite e dei morti erano sempre uguali, asfissianti e
plumbei. Ecco perché la guerra ha modificato nella sostanza la generazione dei
Ragazzi del ’99 e del 1900, partiti per la guerra con la convinzione di
partecipare a una “festa”, alla rigenerazione della società, dopo decenni di
corruzione politica e culturale. L’asprezza della vita in comune agli altri
(nelle molte differenze linguistiche e culturali di stampo regionale) con
numerose privazioni e con il sempre presente contatto con la morte, modificherà
notevolmente i valori cavallereschi e patriottici di molti soldati, aprendo le
porte ai totalitarismi a partire dai primi anni Venti.
L’ultima relazione è stata quella
del tenente colonnello Osvaldo Biribicchi, ufficiale superiore d’artiglieria,
che ha illustrato in maniera tecnica e chiara gli schieramenti e la dinamica
dell’ultima battaglia, quella di Vittorio Veneto, che appunto nell’ottobre di
novanta anni fa ha dato la definitiva spallata al fronte meridionale dello
schieramento della Triplice Alleanza. In questo contesto fu fondamentale il
rinsaldamento nazionale a seguito del pesante arretramento dovuto dall’avanzata
austro-tedesca su Caporetto dell’anno precedente. Il nuovo comando di Armando
Diaz seppe recuperare una certa stabilità al fronte, concentrando le sue
energie in modo razionale e sapendo cogliere a pieno la crisi
politico-militare, che già serpeggiava a Vienna e a Berlino. Anche in questa
occasione il fattore “uomo” fu decisivo, nel desiderio soprattutto di dare la
parola “fine” ad un conflitto che da quattro anni imponeva alla Nazione
sacrifici non solo di natura economica, sociale ma soprattutto umana. La
liberazione di Udine, Trento e Trieste hanno rappresentato l’esempio di come il
desiderio di unificazione nazionale fosse un elemento sentito dai combattenti,
anche se gli angusti pertugi delle trincee erano anni luce distanti dai comodi
salotti romani, dove si riunivano i politici e gli industriali per i loro non
sempre trasparenti affari.
L’affluenza di pubblico e la
presenza di alcuni giovani studenti e studentesse hanno premiato l’iniziativa
spoletina, che ancora una volta dà merito e plauso agli organizzatori di eventi
del genere. Non è mai superfluo ricordare il passato, troppo spesso giudicato
lontano e inutile, se è l’occasione di riflessione e lezione per il presente e
per il futuro. Non a caso ampio risalto è stato dato, da parte di Biribicchi,
alla recentissima morte dell’ultimo soldato combattente nel 1918, il
bersagliere Delfino Borroni, che all’età di 110 anni fino a pochi giorni prima
era ancora testimonianza vivente dei valorosi Ragazzi di Vittorio Veneto.
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