Nella data anniversaria del 17 Marzo 2011
Dal Primo al Secondo Risorgimento
Nel giugno 1943 in Italia vi erano due soli poteri: quello rappresentato dalla Monarchia e quello rappresentato dal Fascismo. E questo era l’asseto del potere statale creato nel 1922 e affermato, in modo autoritario, che pose fine al regime parlamentare erede del Risorgimento, con le leggi fascistissime del 3 gennaio 1925.
Senza entrare nel “come”, questo si verificò, a meta settembre 1943, tre mesi dopo, questi due poteri si erano completamente liquefatti. Il Fascismo, con la decretazione del Gran consiglio del Fascimo convocato il 24 luglio 1943, decreto la sua fine. L’intervento di Dino Grandi, quadrunviro della Rivoluzione fascista in questo consesso di soli fascisti, ammise a chiare lettere che la creazione “dell’uomo fascista” voluto dalla rivoluzione del 1922 era completamente fallito. Occorreva prendere atto, e ancor più prendere atto del fatto che i fascisti dovevano rimettere tutto il potere al Re per uscire dalla guerra e fare fronte comune al nemico che stava invadendo il territorio della Patria. 19 Gerarchi su 25 gli diedero ragione, tanto era evidente la situazione. Il fascismo con atto collegiale democratico così pose fine ala sua esistenza. La Monarchia, erede del patto risorgimentale, si assunse l’onere di far uscire dalla guerra l’Italia. Ma in 45 giorni commise tanti di quei errori che la crisi armistiziale del settembre 1943 la portò praticamente ad essere esautorata. La fuga del re da Roma è il simbolo di questo fallimento. A Brindisi il suo potere sull’Italia e sugli Italiani era praticamente nullo. Il Risultato pi evidente ed oggettivo di questa situazione fu chiaro: gli Italiani, che vedevano la loro Patria invasa da due coalizioni avversarie che la trasformarono in un campo di battaglia si trovarono soli davanti a loro stessi. Per loro arrivò il momento delle scelte. Svanita l’autorità regia, occorreva intraprendere nuove strade per avere la possibilità di avere un avvenire. Le scelte degli Italiani furono individuali e si diede vita a quella stagione che chiamiamo Guerra di Liberazione, in cui fra gli Italiani si dovette riscrivere un nuovo patto sociale, essendo evidente che quello stretto nel Risorgimento che porto all’unità d’Italia nel 1861 con Casa Savoia, per colpa di Casa Savoia, si era ormai sciolto. Le scelte degli Italiani furono convogliate in quei fronti della Guerra di Liberazione, una guerra non dichiarata, che si combatteva a latere della campagna d’Italia, che rappresentano il percorso che si dovette percorrere per conquistare la nostra speranza di essere di nuovo uniti. Una Guerra, quindi, combattuta per una speranza; e come tutte le guerre questa aveva un nemico: la Coalizione Hitleriana che, se avesse trionfato, sicuramente non avrebbe permesso una Italia Unità. Già il 15 settembre 1943 questa volontà germanica di dividere l’Italia si era manifestata con l’incorporazione nel Rechi dell’Istria e del Friuli Orientale e dell’Alto Adige al Reich. La Repubblica Sociale , frutto delle scelte di quei Italiani che volevano e furono fedeli alla vecchia alleanza, dando vita a quella stagione del fascismo non più movimento ne regime, ma repubblicano, socializzante ed estremistico, componente consenziente in questa coalizione del ruolo mutilato dell’Italia ( Udine, ad esempio; era fuori da ogni sovranità di Salò) combatteva per avere un ruolo subordinato alla Germania. Già Himmler vedeva il Nord Italia come unico Stato, che doveva servire ai tedeschi come terra di vacanze e svago, con Venezia, di cui era innamorato, capitale; naturalmente il resto dell’Italia con i restanti Italiani raccolti in un altro Stato, per non contaminare più di tanto i nordici italiani servitori dei tedeschi. Erano progetti, ma le intenzioni erano chiari.
Chi combatteva la realizzazione di questo futuro erano quei italiani che non accettavano da una parte le scelte pro tedesche e dall’altra che si affidavano al destino, combattendo una guerra che, una volta terminata, non garantiva alcunché, ben consci che il destino dell’Italia sconfitta, era nelle mai dei vincitori Anglo Americani. Ma questi avevano promesso che il destino dell’Italia in parte sarebbe anche dipeso dal contributo che gli Italiani avrebbero dato al loro sforzo per sconfiggere la coalizione Hitleriana. Era una debole speranza, ma sempre una speranza.
E chi scelse di combattere, seguì questa via, in varie maniere, frutto delle scelte individuali. Chi arruolandosi nelle fila delle forze combattenti ed ausiliare del Regno del Sud, chi partecipando al movimento ribellistico al Nord, entrando nelle formazioni autonome, gialline, socialiste, comuniste, cattoliche, chi, all’estero, entrando nei movimento di resistenza locali in Jugoslavia, Grecia, Albania, chi, Internato in Germania rifiutandosi di aderire alla repubblica Sociale Italiana, dando ancora una volta ragione a Dino Grandi in merito al fallimento della creazione dell’”uomo fascista” voluto nel 1922 da Mussolini, e chi, prigioniero, collaborò come cooperatore allo sforzo angloamericano.
Tutto questo impegno permise di stringere un nuovo patto fra gli Italiani che non accendo pi intermediari e con il Referendum Istituzionale scelse la forma repubblicana, dando vita alla Repubblica nata dalla guerra di Liberazione, guerra combattuta per le scelte degli Italiani che decisero di cercare un futuro migliore di quello che la repubblica Sociale prospettava. Democrazia e Libertà furono acquisite con il Trattato di pace del 10 febbraio 1947, ed ora questi due beni sono nelle mani degli Italiani stessi. Possiamo anche rinunciarvi e giocarceli come meglio vogliamo, così come possiamo anche cercare di creare stati e staterelli, come hanno fatto gli Jugoslavi che hanno smembrato la loro federazione in otto statarelli regionali di nessun peso, scelta che non ha portato vantaggi di sorta. Non si sa cosa il futuro ci riserva, ma è un futuro nelle nostre mani. Ma un dato è certo. La guerra di Liberazione, la guerra degli Italiani, fu un secondo risorgimento in cui, come nel primo, combattendo uno straniero, affiancato da quei Italiani che non credono nella Unità nazionale, si creò una Patria comune in cui per ben 150 il nostro progresso morale, materiale, economico e culturale è stato enorme.
Nella data anniversaria del 17 marzo 1861 questi sono i commenti di chi partecipò e di chi godette sessanta anni di progresso e prosperità di un Italia trasformata dalla insipienza di pochi e di chi tradì il patto risorgimentale in quello che prima dell’Unità si compiaceva da chi l’occupare definire il nostro Paese “una semplice espressione geografica”. (massimo.coltrinari@libero.it)