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mercoledì 7 dicembre 2011

Nota Informativa

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Per motivi tecnici il blog non è stato aggiornato nei mesi di agosto, settembre ottobre e novembre 2011
i relativi post saranno pubblicati al più presto

domenica 24 luglio 2011

Omaggio ai Caduti della spedizione in Crimea 1854-1855 nel 150° anniversario dell'Unità d'Italia

Con il significativo aiuto e sostegno delle Forze Armate Ucraine, una delegazione di Ufficiali delle Forze Armate Italiane e del Corpo della Guardia di Finanza, hanno reso omaggio, alla stele che ricorda a Baraclava, Crimea, i Caduti della spedizione del 18554-55, svolgendo nel contempo una serie di lezioni di storia militare  sia su questa campagna, sia quella del 1941-1944 nel corso della II Guerra mondiale.

La spedizione in Crimea del 1854-1855 rappresentò il banco di prova dell’Esercito Sardo che si andava ristrutturando in vista delle prove che necessariamente dovevano essere sostenute nell’ambito della politica di Unità Nazionale perseguita dal governo di Cavour.

L’aver partecipato a questa spedizione oltremare, accanto alle potenze del tempo, Gran Bretagna e Francia, rappresentò la possibilità di avere intese  ed appoggi a livello diplomatico e politico.
 Dal punto di vista militare fu una esperienza molto fruttuosa. Sotto il profilo tattico, l’aver combattuto a fianco di fanterie più accreditate sulla carta, permise di confrontare i procedimenti di impiego; per la cavalleria, anche se il corpo di spedizione non aveva unità consistenti di questa arma, si constatò che  non vi erano stati sostanziali progressi tattici dall’epoca napoleonica, quaranta anni prima. Per i quadri, sia di vertice che intermedi fu un’ottima esperienza. Vi parteciparono generali come Fanti, Cialdini, Pes di Villamarina ed altri che ritroveremo poi nelle successive campagne dell’Esercito Sardo.
Dove le cose andarono veramente male fu il settore logistico, soprattutto la componente sanitaria, commissario nelle branche del vettovagliamento, dell’alloggiamento e del benessere del soldato.
L’alto numero dei Caduti, oltre 2500, tra cui il fondatore dei bersaglieri  La Marmora, fu dovuto alle malattie, soprattutto il colera, e ad altre epidemie, non sufficientemente contrastate; relativamente basso il numero dei caduti in combattimenti e scontri.
C’aver avuto la possibilità di svolgere una serie di lezioni di Storia su posto è stata una occasione veramente interessante, un   passo concreto verso quelle forme di studio della storia militare basate sulla realtà documentari e materica.

Questo Caduti sono ricordati oggi da una Stele, sul campo di Baraclava, nella collina di fronte al posto ove stava il Quartier Generale di Lord Raglan, e guardante nella vallata ove si svolse la celebre carica della Brigata Leggera, forse l’episodio più noto di tutta la Campagna.


Di seguito alcune immagini della Cerimonia svoltasi a memoria dei Caduti.

sabato 23 luglio 2011

La Battaglia della Cernaia

La spedizione in Crimea nel 1854-1855 rappresenta uno dei primi signifcativi passi verso l'Unità d'Italia. La battaglia della cernaia fu il banco di prova delle capacità dell'Esercito Sardo di dimostrare di poter sostenere una politica attiva, ardita ed impegantiva da parte del Primo Ministro Cavour.

lunedì 18 luglio 2011

Un giugno coinvolgente

Agli amci affezionati di questo blog occorre dare una qualche spiegazione in merito al lungo silenzio di queste ultime settimane. Attività di lavoro intensa, impegni in scadenza ravvicinata hanno intasato ogni attività. Ma il motivo principale, forse, di questo silenzio è stato il coinvolgimento totale in due attività: una nella rielaborazione di note ed appunti del viaggio in Arabia Saudita. Di fronte alla primavera araba ogni nota è diventata importantissima ed andava studiata ed elaborata. L'altra nel viaggio in Ucraina, ove si è avuto la possibilità di rendere gli onori e mettere un garofano rosso, secondo la tradizione del luogo, sulla stele, nelle vicinanze di Baraclava, a poca distanza da Sebastopoli,  che ricorda i nostri soldati Caduti nella spedizione in Crimea del 1854-1855, nella data anniversaria del 150° della nostra Uità Nazionale. Anche in questo caso gli avvenimenti sono stati di così alta intensità che hanno assorbito tutti il tempo disponibile. Si riprende dunque con l'immissione più o meno regolare di post, essendo ormai ritornati ad una normalità che, peraltro, non fa rimpiangere quanto appena passato sotto il profilo delle emozioni e dei coinvolgimenti. Una buona estate a tutti. 

domenica 29 maggio 2011

Una ricerca del 1993.

LA PRESENZA O MENO DI CIALDINI  SUL CAMPO DI CASTELFIDARDO 
 18 settembre 1860 

 Massimo Coltrinari 
I ricordi ed i racconti della popolazione delle vallate del Musone e dell'Aspio riportano che il generale Enrico Cialdini, comandante del IV Corpo Sardo durante lo scontro che prese poi il nome di Battaglia di Castelfidardo non era sul campo di battaglia nei momenti cruciali e decisivi dello scontro stesso. In questi momenti, anziché rischiare la vita insieme ai suoi soldati, il comandante del IV Corpo era a tavola, a consumare una colazione preparata appositamente per lui, insieme ai suoi ufficiali e al Regio Commissario per le Marche, Lorenzo Valerio.
Pochi anni dopo la morte del Cialdini, a cavallo degli anni di fine secolo, articoli e note, pubblicate su giornali e riviste, a firma di testimoni oculari delle giornate fidardensi, misero in discussione i meriti di Cialdini, avvalorando la tradizione, tramandata per via orale dalla popolazione marchigiana. Tali articoli e note sostennero che i brillanti risultati della giornata del 18 settembre 1860 furono più merito dei suoi sottoposti che del Cialdini stesso, e, in aggiunta, la vittoriosa giornata di Castelfidardo fu più frutto del caso, del demerito degli avversari che del Comandante Sardo. Altri articoli e note, in risposta ai primi, sempre di testimoni oculari, confutarono tale tesi portando altrettante valide ragioni a sostegno del riconoscimento dei meriti del Cialdini stesso, riaffermando la versione ufficiale degli avvenimenti.
Con questa nota, nel contesto del linguaggio museale del Museo Risorgimentale, una figura, quella del Cialdini, che tanta parte ebbe nel processo unitario italiano, si vuole tentare una ricostruzione degli avvenimenti, raffrontarla con le testimonianze orali e scritte, per poi giungere a formulare una nostra ragionata versione che dia una risposta chiarificatrice al quesito che ci si è posti.


1. LA GIORNATADI CASTELFIDARDO: 18 SETTEMBRE 1860.

a) I movimenti del Cialdini dall'alba alle 9,20.

Alle 5,00-5,30 Cialdini è alle Crocette. Qui vista le posizioni, da ordini, controlla ogni cosa, aspettando un attacco per la mattinata. Proprio alle posizioni delle Crocette lo raggiunge il biglietto con la quale apprende che è atteso dal Commissario Valerio al suo Q.G. Secondo il Generale Castelli  poco dopo le 7,00 antimeridiane del 18 settembre (alle 8 secondo il Di Prampero) Cialdini, constatato che tutto era tranquillo all'ala sinistra del suo schieramento (le posizioni delle Crocette, - Colle Oro) montando a cavallo esclama:
"Montiamo a cavallo e andiamo a sentire che cosa ha da dirci il Regio Commissario".
Quindi rientra a Castelfidardo. Arriva al suo Quartier Generale, posto nella Chiesa di Sant'Agostino, sotto Castelfidardo, intorno alle 8,00 antimeridiane.
Alle 8,30 Cialdini è a colazione insieme al Regio Commissario Valerio ed agli Ufficiali del suo Stato Maggiore. E' normale ciò in quanto tutti erano svegli ed in azione dalle 3,00 della mattina, ovvero da circa sei-sette ore.
Proprio durante la colazione riceve il rapporto del suo capo di Stato Maggiore, tenente colonnello Piola Caselli che durante la notte, tra il 17 e 18 settembre insieme al tenente Orero e ad un battaglione di Bersaglieri, aveva svolto una ricognizione lungo il basso corso del Musone. Il rapporto è chiaro: Piola Caselli assicura Cialdini che il Musone a valle è inguadabile, pertanto le posizioni al lato sinistro dello schieramento sardo sono sicure. Unica possibilità di transito, per consistenti forze con artiglieria e carriagi la postale Loreto-Crocette Camerano per Ancona, postale del resto fortemente presidiata.
Oltre al rapporto di Piola Caselli, Cialdini riceve un messaggio da Cugia con il quale il comandante della brigata Como gli partecipa l'occupazione, senza combattimenti, di Camerano. A questa comunicazione, Cialdini risponde con un biglietto del seguente tenore:
"Ore 9,00. Sta bene. Facesti ottimamente bene ad occupare Camerano. Non c'è ombra di attacco. Non so cosa faccia La Moricière, né dove sia passata la colonna uscita ieri d'Ancona".
Alle 9,00 circa del 18 settembre, quindi, Cialdini constata che i pontifici non hanno attaccato e che, con tutta probabilità siano riusciti a sfuggire alla sua manovra e che siano ormai arrivati ad Ancona.
        

b) L'attacco pontificio dalle 9,20 alle 10,50 del 18 settembre. La reazione sarda dalle 10,50 alle 12,00. Il ripiegamento pontificio e la fine dello scontro dalle 12,00 alle 14,00.

Divisi in tre colonne, una d'attacco, una di centro, l'altra dei "carriaggi", i pontefici iniziano a lasciare Loreto alle 8,30 del 18 settembre. La colonna d'attacco, quella condotta dal De Pimodan, in due scaglioni, alle 9,20 guadato il Musone, con il battaglione di testa (Carabinieri svizzeri) attacca le posizioni di vedetta sarde, tenute dal "XXVI" Battaglione Bersaglieri. La progressione è tale che in breve tutto il primo scaglione di detta colonna passa il Musone sospingendo indietro i bersaglieri. I pontifici "vennero così a risultare alle ore 10,30 circa, colla prima linea schierati fra Casa Andreano-Catena ed il piede delle alture appoggiando la sinistra al Musone e la destra al fossatello di Casa Coradini". I pontifici cambiando di fronte e puntando verso ovest "per direttrice dell'avanzata venne indicata la strada campestre che, con uniforme pendenza, tenendosi sul dosso del piovente collinoso, congiunge Casa Andreani-Catena con Casa Serenella del Mirà e si prolunga verso il poggio di Casino Sciava". La progressione pontificia riesce tanto che "la prima linea pontificia era riuscita, verso le 10,50, a vincere definitivamente la resistenza avversaria e a raggiungere Casa Serenella del Mirà, e poche centinaia di passi li separava oramai dal dorso dominante di Casino Sciava, obiettivo finale dell'attacco".
Sempre secondo il Vigevano, alle ore 10,50 il generale Pes di Villamarina Del Campo, comandante la 4a divisione sarda alle Crocette, riceve la notizia che i pontifici hanno attaccato nella vallata. Villamarina, considera l'attacco come un semplice atto dimostrativo "contro l'estremo fianco sinistro dei suoi, avente per mira di far seguire la fronte, giacché ritenendo inguadabile il basso Musone, reputava il grosso dovesse presentarsi dalla strada delle Crocette. Perciò ordinò che soltanto il 1° ed il 2° battaglione del 10° reggimento fanteria accorressero alle Crocette sul luogo del combattimento".
"Al grido di Viva il Re i due battaglioni del 10° reggimento fanteria I° e II° si slanciarono giù da Casino Sciava in direzione di Casa Serenella del Mirà all'assalto... incominciò una mischia accanita nella quale mostravensi prodi e gli uni e gli altri... Eccitavano i fanti italiani il fervore della riscossa, la presenza del generale Villamarina, la fede nei destini della Patria...".
"Verso le 11,15 la sezione della 2a batteria giungeva a mettersi in batteria, cioè quando i battaglioni del 10° reggimento fanteria, ormai azzuffatisi, impedivano di battere la prima linea pontificia; cominciò perciò il fuoco a granata contro l'artiglieria nemica postata nei pressi di Casa Catena Andreani".
"I due battaglioni del 10° reggimento ed i bersaglieri vennero subito respinti di circa 200 metri, ma ritornarono subito a contrattaccare: il terreno fra Casa Sciava, Casa Serenella del Mirà, il ciglione di Montoro, la via campestre di Casa Corraini, andavano seminandosi di caduti dell'una e dell'altra parte, avvolgendosi nel fumo della battaglia e da quello sprigionatosi dai pagliai in fiamme".
La lotta era furibonda e la linea avanzava e retrocedeva in modo non costante.
"Intanto il generale De La Moricière, dalle vicinanze di Casa Camilletti, fattosi un concetto sommario delle vicende del combattimento, giungeva nei pressi di Casa Serenella del Mirà e constata che, date le gravi perdite subite e la posizione dominata, i tre battaglioni impegnati non potevano più a lungo sostenersi". Faceva quindi intervenire a sostegno due battaglioni della sua colonna, che erano in riserva II° cacciatori indigeni, II° bersaglieri austriaci).
"E per conseguenza anche la colonna centrale veniva ad essere coinvolta direttamente nella lotta e l'obiettivo principale diventava non più il raggiungimento di Ancona ma quel combattimento che, partendo da Spoleto, il generale De La Moricière si era proposto di sfuggire e che la mattina stessa a Loreto si augurava di poter evitare".
A questo punto (verso le 11,30 - 11,40), "il generale Villamarina per troncare ogni ulteriore indugio e dare il colpo decisivo al nemico, ordinò che gli altri due battaglioni del 10° reggimento fanteria (III° e IV°) che si erano nel frattempo schierati in seconda linea ad ovest di Casino Sciava entrassero nella lotta".
La prima linea pontificia iniziò a vacillare, mentre a tergo di essa elementi di essa, colpiti da alcuni tiri dell'artiglieria sarda, furono colti dal panico. La seconda linea cominciò ad indietreggiare. Cominciò nella seconda linea la crisi che si diffuse rapidamente alla prima linea, nel mentre veniva ferito a morte l'animatore dell'attacco pontificio, il generale De Pimodan.
La confusione cresceva e "nella impossibilità di rimettere l'ordine in quell'amalgama di uomini... il generale De La Moricère ordinava ai due colonnelli Cropt ed Allét di radunare i fuggenti più indietro, al riparo degli argini del Musone e di dirigerli poi, passando il guado al confluente dell'Aspio, per la via di Umana, su Ancona. Era l'ordine che egli avrebbe potuto con grande vantaggio emanare fin dall'inizio del combattimento".
I pontifici puntano su Umana, sono le 13,30. I combattimenti terminano verso le 14,00, ed i pontifici oltre che verso Ancona si dirigono su Loreto, ove giungono alle 14,00, e verso il Sud, lungo la costa. In questo momento inizia l'inseguimento del 9° reggimento fanteria, che si concluse con successo. De La Morcière sfugge a questo inseguimento ed alle 17,30 entra ad Ancona, seguito da soli 35 cavalieri.


c) I rapporti dei sottordini e del Cialdini al generale Fanti, comandante delle truppe sarde nelle Marche e nell'Umbria sulla giornata del 18 settembre 1860.

Le prime forze sarde impegnate dai pontifici furono le compagnie 101a, 103a e 104a del "XXVI" battaglione bersaglieri e la 44a e 47a del "XII" battaglione bersaglieri.
         In particolare la 101a compagnia, al comando del capitano Fessia, nel suo rapporto scrive, tra l'altro:
"La suddetta compagnia essendo comandata di avamposto fino dal giorno 17 alla casina delle Crocette, situata alle falde della collina e poco lungi dal fiume Musone, circa le ore 9.30 lo scrivente scorgeva l'avanzarsi di una colonna nemica e ne dava tosto avviso alla S.V. ( Al Comandante del Battaglione) per quegli ordini che erano del caso".
La 104a compagnia, sempre, dello stesso battaglione, accorreva sostegno della 101a, e nel suo rapporto il suo comandante interinale (essendo caduto il titolare Cap. Nullo nello scontro), Tenente Canina, scrive:
"Il giorno 18 settembre alle ore 10 del mattino partiva dall'accampamento la suddetta compagnia comandata dal signor capotano Nullo per portarsi dinanzi all'inimico sull'estrema sinistra della linea di battaglia...".
Questa compagnia sostenne l'irruenza di tutta la colonna del Pimodan, tanto che molti per breve tempo furono fatti prigionieri. Infatti nel rapporto si legge.
"Poco dopo il suddetto capitano (Nullo) il sottotenente Colombari e il sergente Guaita furono fatti prigionieri.
Come pure lo furono altri bersaglieri, che fortunatamente assistiti dalla mezza compagnia di sinistra, che ha caricato due volte, comandata dal sottoscritto, poterono restituirsi liberi fra i loro compagni e seguitare a combattere contro l'inimico".
Il comandante del "XXVI" Battaglione Bersaglieri, capitano Barbavara di Gravellona, nel suo rapporto scrive:
"Circa le ore 9.30 antimeridiane una sentinella avanzata segnalava la mossa di una colonna nemica che si dirigeva sulla nostra sinistra perpendicolarmente al fiume Musone. All'avviso dato il sottoscritto si è affrettato a spedire un caporale perché riferisse verbalmente (mancando il tempo per scrivere) alla S.V. Ill.ma la mossa del nemico..."
Dopo aver descritto lo svolgersi dei combattimenti prosegue:
         "Tre quarti d'ora abbondanti il solo battaglione colla 47a Compagnia resistevano in attesa di soccorso. Giunse il 10° Reggimento di fanteria, che sceso coraggiosamente a sostenere le posizioni, si potè in meno di un ora, respingere il nemico al di là della cascina e metterlo in fuga...................; Alle ore due pomeridiane circa il combattimento era terminato...."
Il tenente colonnello Bossolo, comandante il 10° Reggimento Fanteria scrive:
"...Il mattino del 18 corrente verso le ore 10 gli avamposti vennero attaccati dal nemico, e poco dopo mi venne dato l'ordine di far avanzare due battaglioni in rinforzo; feci tosto partire il 1° ed il 2° battaglione, che al passo accelerato giunsero sull'altura della posizione agli avamposti e senza titubanza con un vivo attacco alla baionetta, al grido di "Viva il Re". Vista l'urgenza per forte incalzare del nemico, per vivo fuoco impegnatosi, mossero gli altri due battaglioni, che lasciati per via gli zaini, siccome pure fecero il I° e il II° Battaglione dietro ordine avutone, si spinsero con slancio attaccando alla baionetta al grido di "Viva il Re".
Il tenente colonnello Comandante il 9° Fanteria, Duranti, nel suo rapporto al comandante la brigata "Regina" scrive:
"Appena che ebbe luogo l'attacco, il reggimento, dietro ordine di V.S. Ill.ma prese le armi per recarsi a prendere posizione sul poggio a sinistra di Crocette; dopo mezz'ora all'incirca dacché il reggimento si trovava su quel poggio, ricevette l'ordine di portarsi verso il Paese di Umana, allo scopo di tagliare la ritirata al nemico, che si dirigeva per quella parte per rientrare in Ancona............".
Il comandante la Brigata Regina, cavaliere A. Avenati, nel suo Rapporto al comandante della 4a Divisione, Villamarina, sottolinea che non può entrare in particolari per il comportamento del 10° fanteria in quanto lui era in testa al primo reggimento della Brigata, che era il 9° Reggimento. Descrive quindi il comportamento di questo reggimento all'inseguimento dei pontefici con lo "Lo slancio col quale soddisfece al suo compito, come per distinto servizio che rese, facendo prigionieri 10 ufficiali, i quali quattro ufficiali superiori e 223 uomini di bassa forza, i quali tutti, senza l'efficace concorso del medesimo, avrebbero guadagnato le alture del villaggio di Umana e di là Ancona".
Il comandante la 4a Divisione, Pes Di Villamarina Del Campo, nel suo rapporto al Cialdini scrive:
"Ha combattuto il 10° e il 9° reggimento, Brigata Regina, sotto gli ordini del colonnello brigadiere cav. Avenati, tenente colonnello cav. Bossolo e tenente colonnello cav. Duranti. Presero inoltre parte al combattimento due sezioni d'artiglieria della 2a batteria da battaglia, comandata dal capitano sig. Sterpone". Più avanti fa cenno al "XXVI" ed "XII" Battaglione Bersaglieri.
Segue scrivendo:
"Ai primi colpi essendomi recato sul sito del combattimento, feci avanzare al passo accelerato due battaglioni del 10° fanteria con due pezzi di artiglieria, ordinando ai primi di guadagnare le alture e di respingere il nemico con un attacco alla baionetta, il che venne eseguito senza esitanza al grido di "Viva il Re". Vista l'urgenza per forte incalzare del nemico e per il vivo fuoco impegnatosi, ordinai agli altri due battaglioni di venir sul sito del combattimento e, dopo depositi i zaini, ordinai che si spinsero sulla linea con slancio in aiuto dei due altri già impegnati...............". Pes di Villamarina, percepita l'entità dello scontro, manda un ufficiale, il tenente G. Ricordi, al A.G. di Cialdini con un messaggio che riassume la situazione al momento. Dopo aver descritto l'andamento del combattimento e l'intervento della sezione di artiglieria prosegue:
"Il 9° reggimento, dietro ordine di V.S. Ill.ma prese le armi per recarsi sul poggio a sinistra delle Crocette e dopo mezz'ora circa ricevette l'ordine di portarsi sopra Umana, allo scopo di tagliare la ritirata al nemico che tentava di entrare ad Ancona".
Nel richiedere la concessione delle onorificenze, il Villamarina scrive:
"Degno soprattutto di premio si rese il tenente colonnello Bossolo, comandante il 10° reggimento, il quale sotto gli occhi di V.S. condusse con valore nel proprio reggimento".
Infine il Generale Cialdini, che a Castelfidardo operava agli ordini di Fanti, comandante in capo di tutte le forze d'invasione delle Marche e dell'Umbria, nel suo rapporto scrive:
"Osimo 18 settembre 1860, ore 9 di sera.
 La Moricière alle 10 ore di stamattina mi ha attaccato nelle estreme posizioni verso il mare chiamate le Crocette. Ho battuto La Moricière che è ritornato a Loreto. Ho respinto la colonna d'Ancona a cui do la caccia questa notte".
Dai rapporti sopra riportati dei comandanti di compagnia del "XXVI" Battaglione Bersaglieri si ha conferma che l'attacco pontificio, iniziato alle 9.20, è percepito dai sardi alle ore 9.30 e che il comandante del "XXVI" Battaglione Bersaglieri ne ha conoscenza intorno alle 9.45-10. Oltre agli ordini del caso, questo comandante manda un caporale, a piedi essendo bersagliere, ad avvertire a Castelfidardo Cialdini, al suo Quartier Generale.
Dai rapporti di Villamarina, Bossolo e Duranti si ha la conferma che i battaglioni del 10° Reggimento Fanteria sono impegnati in combattimento su ordine del Villamarina stesso, grosso modo alle 10.45-11 ed alle 11.30-11.40.
Il 9° Reggimento si attesta in seconda linea e dopo mezz'ora inizia ad inseguire i pontefici che si dirigono verso Umana; si dirigono verso la costa, cioè alle 12.45-13.30. I combattimenti terminano verso le 14. Quindi il 9° Reggimento Fanteria prende posizione non prima dell'arco di tempo che va dalle 12.30 alle 13.30 e entra in azione mezz'ora dopo. Da osservare, inoltre, che questo era il Reggimento nelle cui fila ha combattuto il tenente Di Pamprero.
Queste sono constatazioni che si possono fare dai rapporti dei comandanti sul campo e che saranno utili in sede di conclusione.


2) LE TESTIMONIANZE.

a) La versione di Gaspare Finali, segretario del Regio Commissario Lorenzo Valerio.

In un articolo apparso sulla "Nuova Antologia" del 16 aprile 1896, Gaspare Finali sostiene che Cialdini non era sul campo di battaglia il 18 settembre, o meglio non era a Colle Oro sulla linea del fuoco nelle cruciali ore dello scontro, ovvero dalle 9.20 alle 12 del 18 settembre 1860.
Infatti il Finali, insieme al commissario Lorenzo Valerio, nella prima mattinata del 18 settembre era giunto al Q.G. di Cialdini, posto, come detto, al convento di Sant'Agostino a Castelfidardo. Accolti con una certa freddezza dal generale, alle otto e mezzo del mattino il Regio Commissario L. Valerio e il suo giovane segretario, appunto il Finali, si sedettero insieme al generale a tavola per consumare una frugale colazione. Come già rilavato, il Cialdini ed il suo Stato Maggiore erano in piedi dalle 3 antimeridiane e che fare colazione o pranzare dopo sei ore di attività è una cosa normale.
La conversazione tra Cialdini e Valerio si basò sul fatto che il Commissario intendeva spostare la residenza civile da Pesaro a Senigallia, cosa che non trovò contrario Cialdini, anche se avanzò qualche riserva in termini di prudenza.
Durante la conversazione, Cialdini, come scrive il Finali, "Si affacciò ad un verone che guardava la campagna, che dai colli scende alla pianura e al mare, puntando qua e la il cannocchiale: poco dopo se ne ritrasse indispettito, - CE L'HANNO FATTA: HANNO EVITATO LA BATTAGLIA E SI RITIRANO SU ANCONA: SARA' UN DURO E LUNGO ASSEDIO".
Dopo aver pronunciato la frase sopra riportata, Cialdini si intrattiene con Valerio.
"Ci eravamo assisi a mensa alla quale era servita una colazione frugale, come era modesto l'apparecchio - strano contrasto coi gusti che i maligni attribuirono  poi al generale Cialdini - e la conversazione procedeva fredda fra noi altri commensali, più anima tra il generale e il regio commissario, che erano a capo della tavola. D'improvviso si sente un suono di tromba; e dopo pochi istanti si presenta frettolosamente un ufficiale annunziando che a tutta corsa era arrivato un messaggio dal campo. Fu fatto avanzare, e questi prima ancora di essere interrogato, disse, concitato, "-Signor Generale i nemici hanno attaccato; la battaglia è impegnata. Interrogato dal Cialdini aggiunse qualche particolare. (Probabilmente è da ritenersi che fosse il messaggero inviato dal comandante del "XXVI" Battaglione Bersaglieri, messaggero che non poteva partire dal campo non prima delle 10 antimeridiane. Se Cialdini era a Castelfidardo potevano essere le ore 11 circa, se era ad Osimo le 12. "Tutte quelle fronti corrucciate a quell'annunzio si rasserenarono. Dalle finestre furono ordinati i cavalli. Mentre gli ufficiali si sbandavano in fretta per andare ad allestirsi, mi affacciai al verone e porsi attento l'orecchio. Il vento contrario e le frapposte colline impedivano che arrivasse il suono e il rimbombo dei fucili e dei cannoni".
Il Finali, poi, così prosegue:
"A breve distanza da Castelfidardo, arriva all'incontro un ufficiale a gran carriera; che apprestandosi al Cialdini narra a scatti:
"Battuti i nemici; il generale de Pimodan ferito e morente; la battaglia quasi finita”. (Questo ufficiale poteva essere il Ricordi inviato da Villamarina, il quale ben conosceva la situazione sul campo. Essendo stato ferito il de Pimodan non prima delle 11.40, c'è da ritenere che fossero le 12.30-12.40. A quell'ora quindi il Cialdini era sulla strada a breve distanza da Castelfidardo).  Non credette a tanta fortuna il generale e proseguì dando e mandando alle truppe gli ordini opportuni; ma arrivato sul luogo del combattimento ben vide, che ormai poco o nulla restava a fare. In uno scontro di avanguardia nel quale erano impegnate da una parte e dall'altra poche migliaia di uomini, la vittoria era stata in breve ora dei nostri; molti prigionieri; conquistate tutte le artiglierie; il grosso delle truppe papali posto in fuga....".


b) Le versioni del generale Castelli, del senatore Di Prampero, del generale Orero e del De Cesare.

Il generale Castelli, il senatore Di Prampero, il generale Orero e lo storico Raffaele De Cesare, intervennero nella polemica, suscitata dall'articolo del Finali sulla mancata presenza del generale Cialdini sulla linea di fuoco.
Il generale Castelli scrive:
"Il generale Cialdini, fino dalle quattro antimeridiane si trovava alle Crocette, perché si prevedeva in quella mattina l'attacco; verso le sette antimeridiane ricevette un biglietto del Commissario regio delle Marche, giunto allora a Castelfidardo che lo pregava di un colloquio; non vedendosi movimento alcuno la Loreto, il generale persuaso che in quel giorno non vi sarebbe stata la battaglia, fece ritirare nei campi le truppe perché mangiassero il rancio, e disse a noi: montiamo a cavallo ed andiamo a sentire che cosa vuole questo signor Commissario Regio. Vi fu un breve colloquio fra i due e poi ci ponemmo tutti a gustare la sommaria colazione mattutina che fu ben presto troncata dall'arrivo, verso le otto, del tenente Ricordi, corso ad avvertire d'ordine del suo generale Villamarina che i pontifici scendevano all'attacco. Il generale, seguito dal suo Stato Maggiore montò subito a cavallo, e al gran galoppo si portò alle Crocchette. Il Commissario regio Valerio ed il suo giovane segretario Finali partirono per Pesaro, loro provvisoria residenza. Questa la verità e credo che sia dovere l'accertarla".
Il Castelli dice la verità, infatti, l'unico punto che non può essere accettato e che il tenente Ricordi arrivi al Quartier Generale di Cialdini, d'ordine del suo generale Villamarina, addirittura alle ore 8. Cosa impossibile sia perché il Cialdini a quell'ora lasciava le Crocette, come attesta il Di Prampero (cfr. nota 14), sia perché il Cialdini avrebbe dovuto essere sulla linea del fuoco addirittura alle 8.30. Villamarina, come visto, apprezza la reale consistenza dell'attacco pontificio non prima delle 10.45-11. Quindi Ricordi potrebbe essere giunto non prima delle 11.15-11.30 al Quartier Generale di Cialdini. Quanto dice il Castelli quindi è utile, ma non totalmente accettabile.

Il senatore Di Prampero così porta la sua testimonianza:
"CROCETTE, 18 SETTEMBRE. Tempo bello. All'Alba l'intera brigata è sotto le armi in attesa del nemico. Alle otto il generale Cialdini, di ritorno dagli avamposti, passando davanti al fronte delle truppe, disposte lungo la strada, ordina di deporre le armi e dar disporre il rancio. Verso le dieci si cominciò a sentire alcune fucilate da quella parte del Colle al di là delle Crocette che guarda la foce del Musone. Il XXVI Battaglione Bersaglieri, che si trovava colà agli avamposti. diede subito avviso dell'attacco al generale Villamarina, il quale ordinò che avanzassero immediatamente due battaglioni del 9° Reggimento. Questo attendendo ancora al rancio, furono invece avanzati due battaglioni del 10°. Poco appresso lo stesso Generale Comandante la Divisione, accortosi della serietà dell'attacco, ordinò pure che gli altri due battaglioni del 10° seguissero i primi. Intanto la batteria di riserva s'era messa in posizione ed il 9° Reggimento col VII Battaglione Bersaglieri, d'ordine del Generale Cialdini, sopraggiunto in quel mentre, occuparono il Colle a sinistra, ad impedire che il nemico avesse a girare sui fianchi".
La testimonianza del Di Prampero sottolinea che il Cialdini alle otto era alle Crocette, che dispose per il rancio e che diede ordine al  9° Reggimento di occupare il "Colle a sinistra". Ed infatti questo doveva avvenire intorno alle 12.30-13, in quanto mezz'ora dopo il 9° reggimento si lanciava all'inseguimento dei pontifici verso Umana. Quindi anche il Di Prampero porta testimonianza che il Cialdini non dispose l'impiego dei battaglioni del 10° Fanteria, cioè di quelli che entrarono in combattimento.

La testimonianza del Di Prampero viene sostenuta dal Generale Orero. In un articolo apparso sulla rivista "La Lettura", numero del marzo 1903, l'Orero scrisse:
"Verso le nove non essendo pervenuto alcun avviso dell'avanzarsi del nemico, Cialdini pensò che La Moriciè re avesse per quel giorno rinunciato ad attaccarci. Ordinò alle truppe che, rimanendo nelle posizioni di combattimento, lasciassero le armi e mandassero per viveri. Ciò era appena stato fatto quando (ore 10.30) cominciammo ad udire qualche colpo di cannone che parve a taluno di noi e al generale venisse, come difatti veniva. non da sud d'onde si attendeva l'attacco ma da est. Contemporaneamente giungeva di carriera il tenente Giulio Ricordi, dei Bersaglieri, addetto allo stato maggiore della quarta divisione. Egli recava da parte del suo generale (Villamarina) l'avviso che il nemico con artiglieria era sbucato improvvisamente dalle boscaglie che coprono la riva sinistra del Musone....Cialdini  ...accolse  l'annunzio dell'attacco come lieta notizia, tanto più gradita perché ormai insperato per quel giorno. In tono allegro esternò questo suo sentimento al tenente colonnello Piola Caselli e voltatosi a noi, nello stesso tono, comandò - A cavallo! - Partimmo al galoppo ed in pochi minuti fummo alle Crocette, donde al ciglio dell'altura attaccata dal nemico... Quando Cialdini giunse sull'altura delle Crocette, verso le ore 11 il nemico già si era impadronito di Santa Casa di Sotto...."
L'articolo dell'Orero descrive poi gli avvenimenti concernenti il "XXVI" Battaglione Bersaglieri. Indi prosegue:
"Attaccati da forze molto superiori, con pericolo di essere circuiti e fatti prigionieri, i pochi nostri bersaglieri avevano abbandonato in mano ai tiragliatori franco belgi anche Santa Casa di Sopra. Questi insieme ad un battaglione di cacciatori svizzeri  (in realtà Carabinieri Esteri, anche se in maggioranza svizzeri) stavano dunque per giungere al ciglio dell'altura ove era il generale con il suo stato maggiore, quando comparve il 10° fanteria avanzare di corsa in colonna serrata.
Cialdini, voltosi al colonnello che a cavallo precedeva il reggimento, gli disse con voce di comando, che aveva forte ed intonata: - COLONNELLO BOZZOLO, ZAINI A TERRA ED ATTACCO ALLA BAIONETTA! - Il colonnello non fece in tempo a ripetere il comando. Tutti gettarono lo zaino a terra e con "Hurrah" e "Savoia" si rovesciarono giù dal pendio addosso alla linea nemica. Il 10° fanteria non si era ancora del tutto lanciato all'attacco quando sopraggiunge al galoppo una sezione di artiglieria col comandante di batteria (capitano Sterpone) alla testa. Sempre al galoppo quella sezione sfilò davanti a noi come si trattasse di una rivista. In un attimo due cannoni furono messi in posizione secondo le indicazioni date a voce dal generale stesso e tosto cominciarono un fuoco vivo a ottocento metri in direzione di Santa Casa di Sotto, ove si scorgevano insieme alla sua artiglieria, masse di fanteria nemica............".

Questa la testimonianza del generale Orero, colui che, come detto, eseguì insieme al Capo di Stato Maggiore del Cialdini, Tenente Colonnello Piola Caselli, la ricognizione sul Musone nella notte tra il 17 ed il 18 settembre. Orero quindi sostiene che fu il Cialdini a impiegare i primi due battaglioni del 10° Fanteria, nonché la sezione di artiglieria e poi il resto del 10° Reggimento Fanteria. Questa testimonianza non trova riscontro né dai rapporti del Comandante del 10° Fanteria né da quello del Comandante della 4a Divisione. I detti rapporti, invece, rilevano che furono i diretti comandanti ad impiegare e portare al combattimento queste truppe. Risulta invece che Cialdini impiegò direttamente il 9° Reggimento per l'inseguimento dei pontifici verso Umana.

Raffaele De Cesare sostiene le tesi dell'Orero e del Di Prampero.
"Anche l'Orero ha messo la verità a posto, confermando quando aveva scritto il Di Prampero".
Se la giornata di Castelfidardo non fu militarmente tal cosa da meritare il nome di battaglia, non è giustificato il giudizio che ne dette il Finali in un articolo della Nuova Antologia del 16 aprile 1896, quattro anni dopo la morte del Cialdini. Il Finali, non tenero con Lui, tentò di togliergli ogni merito di quel fatto d'armi: ma il senatore (Di Prampero) che prese parte alla mischia, mise la verità a posto in una lettera...."
Poi De Cesare cita direttamente il Di Prampero. "...Il Cialdini, colla prontezza del suo colpo d'occhio, afferra subito la posizione, ordina al tenente colonnello Bozzolo di far deporre gli zaini, fa dirigere le colonne alla conquista della seconda cascina, che avevano occupato o papalini, dà disposizioni per l'artiglieria, facendo cambiare di posto la batteria Sterpone, che era verso Camerano ad un chilometro dalle Crocette, ordina al generale Avenati di occupare col 9° fanteria il poggio a nord-est delle Crocette, e di starvi in attesa di ordini. Dà pure disposizioni per il reggimento lancieri Novara. Intanto il primo battaglione del 10° (Fanteria) si era avanzato in rinforzo della gran guardia  dei bersaglieri che, attaccati fieramente nella loro gran guardia dal battaglione franco-belga, guidato dallo stesso Pimodan, cominciavano a ritirarsi. Disposto a battaglia, il nostro battaglione si avanza a baionetta a discacciare il nemico che, guadagnata l'erta, occupava la cascina a metà della pendice.
A seguito a breve distanza dagli altri tre battaglioni del 10° (Reggimento Fanteria) e da una carica di Novara. In poco d'ora, coadiuvante dai toro dell'artiglieria, queste truppe, dopo respinti gli zuavi, mettono in fuga i battaglioni svizzeri ed indigeni papalini, che si avanzano in rinforzo ai franco-belgi, e si riacquistano le due cascine di proprietà della Santa Casa. Durante questo tempo, il 9° (Reggimento Fanteria) colle armi al piede assisteva inerte dal suo poggio allo sbandamento dei papalini. Appena si videro le prime macchie nere degli sbandati, che tentavano di riordinarsi per dirigersi lungo la spiaggia alla volta di Umana, il capo di stato maggiore di Avenati tentava inutilmente di persuadere questo generale di muoversi verso Umana, a tagliare la strada al nemico.
Finalmente col pretesto di un ordine sempre atteso, ma non veramente giunto, il tenente di Prampero potè far entrare nella mente di Avenati la necessità di una efficace mossa in quella direzione. L'esito corrispose all'ardito consiglio del giovane ufficiale ed il 9° reggimento passato l'Aspio sopra un ponticello di legno, e traverso il Concio, arrivò alla spiaggia prima del nemico, il quale costretto tra il mare e gli scogli dovette arrendersi. Dieci minuti prima vi era passato il generale De La Moricère. In quella occasione furono fatti prigionieri diciannove ufficiali e mezzo centinaio d'uomini con due bandiere. Ottenuto tale risultato il tenente Di Prampero rifece a carriera la strada per rendere avvertito il generale Cialdini della mossa del 9° (Reggimento Fanteria). Il Cialdini, prima di conoscere l'esito, diede al Di Prampero una di quelle intemerate, che egli solo sapeva dare, allorché non credeva eseguiti i suoi ordini; ma appena il tenente poté prendere fiato ed esporgli il successo del 9° (Reggimento Fanteria), il Cialdini rimessosi prontamente disse - "Bravo Avenati, ha fatto un bel colpo! Gli dica che voglio stringergli la mano e che venga subito con i prigionieri - "
La testimonianza del Di Pamprero sostiene la nostra tesi. Arrivato il Cialdini fra le 12 e le 13 prontamente interviene nelle decisioni e, conosciuto lo sbandamento pontificio giustamente si preoccupa di tagliare la strada a quei pontifici che puntano su Ancona. L'azione del 9° Reggimento è una azione di sfruttamento del successo ed inseguimento che si risolve felicemente. Diversamente da come era stato accolto il Ricordi nella mattina, il Di Pamprero riceve "Una di quelle intemerate che solo egli (il Cialdini) sapeva dare, allorchè non credeva eseguiti i suoi ordini". Ed al Cialdini premeva che nessun pontificio andasse a rinforzare la guarnigione di Ancona. Quindi il Di Pamprero porta una testimonianza accettabile, ma riferita alle prime ore del pomeriggio del 18 settembre, quando nessuno mette in discussione la presenza del Cialdini alle Crocette.
Questo apparve sulla stampa nel 1896 e sembrava che la polemica si fosse composta. Invece gli interventi proseguirono.
Riferisce il De Cesare:
"Pareva che (dopo l'intervento del Di Prampero) il Finali avrebbe modificato le sue asserzioni, ma non fu così. L'anno appresso, nel suo libro "Le Marche", egli (il Finali) conferma quanto scrisse nell'Antologia, con un più contorto giro di frasi".
Il De Cesare quindi prosegue:
"Il Cialdini si era collocato dice a Castelfidardo, per potere accorrere prontamente ove fosse il bisogno; ma la brevità del combattimento, malgrado le non grandi distanze, fece riuscire tardivo il suo personale intervento, gli fu nondimeno data alta lode, come se anche la battaglia fosse stata ordinata e condotta da lui"
Il De Cesare fa un suo personale commento a questa versione:
"Forse il Finali volle vendicarsi del Cialdini, che la mattina del 18 settembre, qualche ora prima del combattimento, aveva ricevuto il Commissario Valerio e lui stesso, che ne era il segretario, con evidenti segni di fastidio; e forse non aveva torto":
Il De Cesare naturalmente non fa distinzione tra linea del fuoco ed area della battaglia. Egli sposa pienamente la tesi del Di Pamprero il quale, a ragione, sostiene che il Cialdini era alle Crocette nelle prime ore del pomeriggio del 18 settembre.


c) La testimonianza dell'ammiraglio Carlo Pellion Di Persano.

Le operazioni per la conquista di Ancona videro impegnata anche la squadra navale sarda, agli ordini del contrammiraglio Carlo Pellion di Persano. Il giorno 17 settembre il Persano sbarca dalla sua nave (la Maria Adelaide), ancorata a nord di Ancona e, con una scialuppa, raggiunge Senigallia. Da qui, con una carrozza, raggiunge il Quartier Generale di Cialdini a Castelfidardo. L'incontro è proficuo in quanto Cialdini prega l'ammiraglio di concertare per l'indomani (18 settembre 1869)una azione di bombardamento controcosta e minacciare sbarchi contro Ancona, al fine di impedire alla guarnigione pontificia della città Dorica di uscire in soccorso alle truppe del De La Moricière. Persano nel suo diario scrive:
"Mi racconta (il gen. Cialdini) che la fortuna gli è stata propizia; dacché non iscorgendosi movimenti nelle file nemiche, egli stava sul punto di accompagnare il Commissario Generale Lorenzo Valerio in Osimo, quando un interno presentimento gli suggerì di non allontanarsi da Castelfidardo neppure per pochi momenti, di che ben gli colse, perché poté senza ritardo alcuno trovarsi a dirigere le mosse dei suoi contro l'attacco delle truppe pontificie capitanate dal gen. La Moricière in persona, che seguiva verso le 10.30 del mattino".
La testimonianza di Persano, quindi, da Cialdini a Castelfidardo alle 10,30 della mattina del 18 settembre. A questa parole ci pare giusto contrapporre quanto dice il mons. Grillantini, storico di Osimo, a commento delle medesime: "Né ci distoglie dal nostro sospetto quanto dice il Persano nel suo diario, sembrandoci anzi che quale sue parole abbiano tutta l'apparenza di una "excusatio non pentita". Troppo interesse a diffondersi su un particolare che al Persano non interessava nulla!".
        

3. LE CONTRADDIZIONI DELLE TESTIMONIANZE E LE CONSIDERAZIONI DI INIZIO SECOLO.

Nel raffrontare le varie testimonianze, Antonio Montanari, nel "Giornale d'Italia" del 23 Febbraio 1910, così scriveva: "Ora è il caso di domandarsi: se due eminenti uomini  (si riferisce all'Orero ed all'Finali) che ricoprono le più alte cariche dello Stato, testimoni oculari ed auricolari di uno dei più grandi episodi della storia del Risorgimento italiano, dopo pochi anni ci raccontano il fatto così tanto disparatamente. Il Senatore Gaspare Finali ed il senatore generale Baldassare Orero nel 1860 erano entrambi giovani; l'uno come vedemmo segretario particolare di Lorenzo Valerio, regio commissario straordinario delle Marche, l'altro era ufficiale dello stato maggiore del generale Cialdini. Entrambi profondamente entusiasti delle gesta di questo grande uomo; ma di essi che dice le verità? Entrambi a convalidare il loro asserto citano testimoni viventi: dunque?
Non siamo noi dinanzi ad un episodio che abbia lieve importanza per la storia del nostro Risorgimento nazionale, ma ci troviamo avanti ad uno dei principali fatti che decisero della liberazione di due grandi province dell'Italia centrale delle Marche e dell'Umbria. Di questo episodio erano protagonisti due dei migliori generali dell'epoca il Cialdini e il de La Moricière. Questo, sappiamo, compiva di presenza il proprio dovere, cosa faceva l'altro? Faceva colazione, come dice il Finali, o arrischiava la vita in mezzo ai suoi bravi militi come dice l'Orero?".
Anche il Prof. Nicola Feliciani intervenne nella polemica sul "Giornale d'Italia" del 2 marzo 1910, scrivendo:
"Dunque riepiloghiamo. In seguito ad un articolo del Signor Montanari il quale riferendosi ad affermazioni del Senatore Finali e del generale Orero rilevava la necessità di chiarire se veramente il generale Cialdini avesse preso parte alla Battaglia di Castelfidardo, il senatore Di Prampero che combattè a Castelfidardo col grado di facente funzione di capo di stato maggiore della Brigata "Regina", ci scrisse per fare testimonianze che il generale Cialdini preparò e diresse tutto lo schieramento delle truppe dalle quattro del mattino alle quattro di sera rimase costantemente, tranne un intervallo di un ora, sul campo di battaglia....
E Giulio Ricordi volle pure dare la sua testimonianza scrivendoci che ebbe incarico dal Generale Cialdini di ordinare al Pes di Villamarina di tener testa all'attacco degli avamposti e che pochi minuti dopo aver compiuta la sua missione vide Cialdini il quale a cavallo e solo con un'aiutante dominava e dirigeva lo svolgersi della battaglia dal colle su cui avvenne lo scontro decisivo e che ivi rimase fra il grandinare dei proiettili  fino all'ultimo ricevendo le notizie ed emanando ordini con imperturbabile tranquillità".
Dopo aver citato il Finali, l'Orero ed il De Cesare nonché testimoni minori come il Palestini, che partecipò alla battaglia come soldato semplice, il Prof. Feliciani conclude
"Dopo di ciò al critico sereno poco importa che il mattino del 18 settembre alle ore 8.30 Cialdini come attesta il Finali faceva colazione. Sarebbe da balordi il fargliene un rimprovero dopo la lunga visita notturna ai vari posti avanzati e dopo le chiare disposizioni date nella eventualità di un attacco.
Altri e ben più sereni rimproveri si potrebbero muovere al generale Cialdini anche a voler trascurare quelli accennati dal Tivarono e dallo Zini nelle loro opere storiche. Certo dispiace che egli, non avendo occupato come avrebbe dovuto la strada costiera che dal Musone per Unana e Sirolo conduce in Ancona mancò a Castelfidardo del trofeo migliore la cattura del De la Moriciére il generalissimo pontificio che sfuggito andava a fare l'ultima resistenza ad Ancona. E dispiace ancora il vedere che egli lasciò sorprendere i suoi da un attacco nemico sol perché il capo del suo Stato Maggiore tenente colonnello Piola ed il tenente Orero giudicarono inguadabile un fiumiciattolo come il Musone! Ma chi potrà serbargli per tutto questo dispetto e malanimo? Chi potrà  fargli colpa di non essere stato ad un attacco di avanguardie o di non aver bagnata la sua spada nel sangue nemico?".


4. LA RICOSTRUZIONE DI MONS. CARLO GRILLANTINI, STORICO.

"Cialdini sul campo?
Molte polemiche nacquero sul contegno del Cialdini in questa battaglia. Dice il Vigevano che, quando il generale Cialdini arrivò sul luogo del combattimento, erano poco più delle 11. In Osimo è tuttora opinione comune che egli la mattina del 18 fosse tra noi e non sul campo. E' una persuasione nata dal racconto dei vecchi. Ricordiamo che, quando uscì il volume del Finali, il nostro comm. Giacomo Gallo, Baly di Malta, che fu testimonio di quelle giornate, al leggere che il primo incontro del Finali e del commissario Valerio con il Cialdini avvenne la mattina del 18 a S. Agostino di Castelfidardo, si dibatteva sulla poltrona ed esclamava: "Buffoni, buffoni! Cialdini era alla trattoria fuori porta Vaccaro!" (Quella trattoria del Moro, già da noi ricordata). Altri dicono altro, e altrove. E ciò spiegherebbe come possa essere avvenuto quel che dice il Finali: che, avvistato il Cialdini durante la colazione (erano poco più delle 10) che il nemico aveva attaccato, lasciò la mensa e, dati pochi ordini, partì per il campo sul cavallo già insellato. Ma non era ancor giunto sul luogo ("a breve distanza da Castelfidardo" dice il Finali) che già altro ufficiale gli venne incontro per dirgli che oramai tutto era bello e finito e che De Pimodan era ferito. In quel momento non poteva essere meno delle 12, perché la notizia del ferimento del De Pimodan l'avranno appresa solo al cessare di ogni resistenza. Infatti il Vigevano dice che non prima delle 11,15 potè cominciare l'azione controffensiva dell'artiglieria piemontese; tenuto conto della lunga resistenza degli svizzeri e dei franco-belgi, l'azione non potè finire prima di mezzogiorno.
Del resto, l'asserzione del Finali (che durante la colazione non si sentiva il rombo del cannone) è semplicemente puerile spiegarla col fatto del vento contrario, ove si fosse trattato solo di qualche chilometro di distanza; mentre è spiegabilissima se la distanza è quella di Osimo. E poi, due ore di tempo per andare e tornare a spron battuto da S. Agostino alle Crocette (una decina di km) è una enormità; mentre è giusto da Osimo (km 22-25). Tanto vero che anche la prima staffetta aveva impiegato quasi un'ora per portargli la notizia dell'attacco. Evidentemente, il Finali - conoscendo tutte le accuse contro il Cialdini, e il danno che ne veniva al prestigio dell'esercito - ha accomodato la narrazione, cambiando il nome della località dell'incontro.
Nonostante ciò, il merito militare del Cialdini non ne viene affatto diminuito, avendo egli con la tempestiva occupazione delle alture più importanti, vinto potenzialmente ancor prima di combattere".
Secondo mons. Grillantini, quindi, l'incontro tra Valerio e Cialdini non si ebbe a Sant'Agostino a Castelfidardo, ma bensì ad Osimo.
Ovvero Cialdini, vedendo che lo schieramento sinistro era tranquillo, reputò ispezionare anche l'estrema destra dello schieramento, ovvero si recò ad Osimo. Qui, mentre era a colazione con Valerio, lo raggiunse la notizia dell'attacco. Sulla strada tra Osimo e Castelfidardo lo raggiunse l'altro ufficiale (Giulio Ricordi) che portava le notizie definitive.


5. SULLA VIA DI UNA RISPOSTA.

a) Il ruolo del generale Pes di Villamarina.

Il generale Villamarina riceve la notizia dell'attacco agli avamposti verso le 10,15. Questo è il momento chiave per spiegare l'assenza del generale Cialdini sulla linea del fuoco il 18 settembre, in quanto è questo dato che occorre tener presente per ricostruire i movimenti del Cialdini nella tarda mattinata del 18 settembre. Infatti, messo in sistema con l'ora di attacco dei pontifici (ore 9,20) considerato il sistema di comunicazione del tempo (staffette e segnali di tromba) si rileva che sono occorsi circa 45-60 minuti affinché il più alto ufficiale presente al campo delle Crocette (appunto il Villamarina) avesse la possibilità di conoscere che cosa stesse accadendo e quindi prendere decisioni. Senza voler anticipare risposta, tenendo conto della versione ufficiale che riferisce l'arrivo del Cialdini poco dopo le 11, appare quanto mai arduo pensare che poco più di 45 minuti dopo che il Villamarina ha avuto notizia dell'attacco, il Cialdini arrivasse sulla linea del fuoco, o da Castelfidardo da Osimo.
Villamarina, sempre secondo il Vigevano, considera l'attacco inizialmente come un semplice atto dimostrativo "contro l'estremo fianco sinistro dei suoi, avente per mira di far seguire la fronte, giacché ritenendo inguadabile il basso Musone, reputava il grosso dovesse presentarsi sulla strada delle Crocette".
Da quanto  i pontefici hanno attaccato (ore 9.20) il comandante la Divisione ha notizia dell'attacco un ora dopo, questo in relazione alla stretta catena gerarchica che su un campo di battaglia si deve rispettare infatti il comando compagnia informa il comando di battaglione, questi il comando della brigata e quindi il Divisionario. Un ora fu necessaria, lungo tutta la linea di comando fino al vertice per realizzare che i pontefici, dati i sistemi di comunicazione del tempo( fucilate fumo e staffette), avevano attaccato in forze a Colle Oro.
Alle 10.15 Villamarina ancora reputa che l'attacco principale deve avvenire lungo la postale, ma dai ponti di Loreto nessuna notizia e tutto è calmo. Quindi si può ritenere che abbia preso del tempo (supponiamo dieci quindici minuti) per valutare la situazione. Attacco diversivo alla estrema sinistra dello schieramento, questo fu il suo primo logico apprezzamento. Ed infatti ordinò che solo il I° ed il II° Battaglione del 10° Reggimento Fanteria accorressero in sostegno del "XXVI"  Battaglione Bersaglieri dalle Crocette a Colle Oro. Supponiamo che il tutto si sia compiuto in quindici minuti. Alle 10.30 quindi il Comando sardo della 4a Divisione ancora non aveva certezza che l'attacco principale pontificio stia avvenendo a Colle Oro.
I Pontifici intanto risalgono Colle Oro e verso le 10.50 arrivano a poche centinaia di metri dal Casino Sciava.
Questa progressione fa comprendere a Villamarina che non si è di fronte ad un attacco diversivo ma ad un vero e proprio attacco. Ed infatti il Divisionario, ordina l'invio del III° e IV° Battaglione del 10° reggimento Fanteria nonché di una sezione della 2a Batteria del V° Reggimento Artiglieria.
A questo punto si apre l'interrogativo. Sicuramente Villamarina avrà pensato di avvertire Cialdini a Castelfidardo. Cosa che fece inviando il tenente Giulio Ricordi. E' da presumere che lo faccia almeno dopo le 10.30-10.45 ovvero non subito in quanto ancora credeva che l'attacco pontificio fosse solo diversivo. Ovvero avverte Cialdini di quanto sta accadendo dopo che ha la percezione che l'attacco è serio, non diversivo. Quindi non prima, supponiamo, delle 10.45-11.00.
Dal luogo ove era Villamarina, cioè Le Crocette a Sant'Agostino, dove era il Quartier Generale di Cialdini, ci sono, dice il Vigevano, cinque chilometri. Questa staffetta avrà impiegato almeno 40-45 minuti per giungere a Sant'Agostino. Cialdini, ammesso che si sia subito precipitato, avrà impiegato altri dieci minuti per ordinare di andare e partire e altro 20-25 minuti per giungere (a cavallo) li dove era il Villamarina. Se si fanno i conti, considerando anche i tempi morti, le isteresi degli ordini ecc., tra l'andare  della staffetta, il comunicare e la venuta di Cialdini dovranno certamente essere impiegati almeno 60-80 minuti, cioè a dire che Cialdini non poteva essere sulla linea del fuoco non prima delle 12.00-12.15, ovvero quando ormai le decisioni erano state prese e i battaglioni della Brigata "Regina" avevano respinto i pontifici.
Vigevano, ed è la versione ufficiale, sostiene che Cialdini arrivò poco dopo le 11 sulla linea del fuoco, alle Crocette. Per poter far questo, considerando sempre che tra l'andare e venire sono sempre necessari 60-80 minuti, ciò significa che Villamarina avrebbe dovuto inviare la staffetta almeno alle 9.20-9.30, cosa impossibile in quanto lui ha notizia dell'attacco solo alle 10.15 e lo apprezza come decisivo solo alle 10.45-11.00.
Ammesso anche che la steffetta parta alle 10.15, (questa è l'ipotesi che il messaggero mandato dal Cap. Barbarava arrivi al Q.G. comunichi che l'attacco è avvenuto, che Cialdini subito si precipiti alle Crocette) Cialdini non può arrivare che alle 11.45-12.00, ovvero sempre a cose fatte, ovvero quando i quattro battaglioni della Brigata "Regina" sono entrati già in combattimento.
Per credere a quanto dice il Vigevano e dare atto alla versione ufficiale che Cialdini era alle Crocette poco dopo le 11, occorre accettare il fatto che egli abbia lasciato il suo Q.G. almeno alle 10.30-10.40 ed in venti minuti giungere alle Crocette. Ma lo stesso Villamarina ha la percezione dell'attacco alle 10.50-11.00 e quindi ciò è quanto mai difficile poterlo credere.


6. LA NOSTRA TESI.

Occorre esaminare la situazione con una certa aderenza all'evolversi degli avvenimenti. Cialdini era alle Crocette alle 7.00-7.30 e alle 9.00 era ormai certo che:
- i pontefici non stavano attaccando
- che il Basso Musone era inguadabile
- che ai Ponti di Loreto non vi era attacco
- che un eventuale attacco poteva venire all'estrema destra, verso Osimo o che, nella peggiore delle ipotesi in una qualche maniera i pontefici erano giunti ad Ancona vanificando tutti gli sforzi degli ultimi giorni.
Quindi, la sua partenza alle 10.30 per le Crocette era ingiustificata, in presenza di notizie quanto mai incerte. In più le prime notizie giunte potevano essere solo di un attacco diversivo all'estrema sinistra, non quello principale ; quindi era suo compito mantenere una posizione centrale rispetto allo schieramento in attesa di chiarimenti; quando Villamarina gli comunica  le notizie di un attacco in forze sono già le 11.15. Ammesso che poi si sia precipitato alle Crocette, non poteva arrivarvi che verso le 12.15-12.30.
Ma chi assicurava Cialdini che i Pontefici non avrebbero attaccato in forze a destra, sulla strada di Osimo, oppure forzato i Ponti di Loreto e tentato il passaggio attraverso le Crocette, inscenando un attacco diversivo all'estrema sinistra?. In questa incertezza, sarebbe stato quanto mai inopportuno per il Cialdini precipitarsi subito verso l'estrema sinistra, senza attendere ulteriori chiarimenti.
Questa serie di considerazioni, più l'analisi dei tempi tecnici di spostamento, porta alla conclusione che dalle 10,15 alle 12,15 Cialdini non poteva essere alle Crocette né sulla linea del fuoco. E secondo i canoni dell'arte militare non doveva esserci. Infatti, predisposte in modo che fossero in grado di intercettare le truppe pontificie provenienti dall'Umbria, il suo scopo era quello di agganciarle e non farle giungere ad Ancona. Nel momento che l'attacco si manifesta come principale, valutata la situazione. Cialdini arriva lì dove si svolge il combattimento. Ed infatti tutto concorda: gli ordini al 9° Reggimento, l'inseguimento del pontificio verso Umana, la "intemerata" al Di Prampero quando nel pomeriggio pensa che i suoi ordini non siano stati eseguiti, ecc.
Quindi appare chiaro che il Cialdini non sia stato presente quando il 10° Reggimento combatteva, ma che sia avvenuto dopo, a cose fatte, quando ormai si trattava di inseguire solo i pontifici in fuga. E questo avvenne.
Che egli sia stato nell'area della battaglia è fuori discussione. Ma avendo apprezzato che all'estrema sinistra non si poteva passare e quindi non si poteva attaccare, constatato che questa ala sinistra era calma, era ritornato, anche perché chiamato dal Valerio, a Castelfidardo. Niente può escludere che poi, rifocillato, si era recato ad Osimo come sostengono testimoni oculari di Osimo, ad ispezionare l'ala destra. Perché se i pontifici erano passati, non c'era nulla da fare, se dovevano passare, non potendo passare né a sinistra e né al centro, forse passavano a destra. E' questo che spinge a credere che il Cialdini si sia recato dopo le 9 ad Osimo per ispezionare quelle posizioni e qui lo raggiunge la notizia che invece un attacco si è manifestato a sinistra. E' la tesi di Mons. Grillantini, sostenuta dal Finali, che però scambia Osimo con Castelfidardo.


7. CIALDINI E' SORPRESO DALL'ATTACCO PONTIFICIO. I PONTIFICI NON SFRUTTANO LA SORPRESA E SUBISCONO LA REAZIONE SARDA.

La nostra tesi, quindi, è che i pontifici, in aderenza al loro piano, avevano ottenuto il successo che cercavano, ovvero aprirsi la strada per raggiungere Ancona. Aperta la strada non fecero quello che dovevano fare: proseguire in avanti senza curarsi di altro. E per Cialdini la giornata sarebbe stata negativa.
Cialdini non era sulla linea del fuoco perché riteneva che l'attacco dovesse venire per la strada di Osimo o non venire per il giorno 18 settembre. Colto di sorpresa all'estrema sinistra, il comandante sardo fu particolarmente fortunato: infatti la sua vittoria non fu tale "perché seppe volgere a proprio vantaggio la situazione" come sostiene il Pieri, ma perché il De La Moricière, venendo meno a tutti i suoi propositi e piani, non attuò la seconda fase dei piani stessi concertati a Loreto. Con la prima si doveva aprire un varco verso Ancona e fu fatto dall'attacco del De Pimodan: alle 10,50 la via di Ancona era aperta. Un ordine risoluto del De La Moricière di procedere tutti verso Ancona, anche a costo di perdere le truppe impegnate in combattimento. Impegnando il De Pimodan e tenendo le rimanenti sotto il tiro dell'artiglieria sarda fu un grosso errore di comando, errore che è all'origine dello sbandamento e quindi della disfatta pontificia.
L'iniziale successo pontificio non fu dal De La Moricière sfruttato e questo permise al Cialdini di reagire. Quanto a cose, ormai erano decise, dopo le 12 il Cialdini arrivò sulla linea del fuoco e sfruttò prontamente la situazione, inviando il 9° Reggimento Fanteria, contro i pontifici diretti verso Ancona. L'azione ebbe successo e pochi cavalieri giunsero nella dorica.

La giornata si concluse felicemente per il Cialdini e per le truppe sarde. Per fare un paragone calcistico, il Cialdini era in svantaggio alla fine del primo tempo; poi per errori degli avversari "che non chiudevano la partita" sia per merito proprio ribaltò la situazione e vinse alla fine l'incontro, impedendo agli ottomila pontifici di raggiungersi e rinchiudersi ad Ancona. Cosa che era il suo obiettivo principale fin dalla entrata in campagna.
(*) Il contributo è nato per ricordare il centenario della morte del generale Enrico Cialdini, uno degli artefici del nostro processo unitario, al fine di chiarire un particolare aspetto che tante polemiche aveva suscitato agli inizi del secolo. Spesso la scarsa cultura militare porta a giudizi superficiali, ma che, nel loro riverbero, possono dar vita a coni d'ombra su figure brillanti e significative.
A passioni sopite, è utile dissolvere questi coni che non hanno, e non hanno mai avuto ragion d'essere, nella speranza che, ieri come oggi, una maggiore conoscenza del mondo e della cultura militare nella nostra società possa aiutare ad evitare interpretazioni distorte e superficiali.

Si riporta quindi un breve cenno biografico del generale Cialdini, che acquista la sua formazione militare sui campi di battaglia iberici, affinata poi alla scuola della tradizione sarda, fu uno degli artefici della nascita del nostro esercito nazionale.


NOTE

(1) Cfr. L. Francioni, Le fonti orali: le testimonianze superstiti della Battaglia di Castelfidardo, in "Tra Progetto e Ricerca" - Atti del Convegno di Studi "Castelfidardo nell'età del Risorgimento", Castelfidardo, Italia Nostra, 1992.

(2) La II Sezione del Museo Risorgimentale di Castelfidardo riserva un settore alla vicenda del Cialdini sul campo di battaglia nel contesto della descrizione dell'area della battaglia. La presente nota è il riverbero delle ricerche condotte per la realizzazione di questo Settore.
(3) Il Museo Risorgimentale di Castelfidardo è ordinato su tre strutture: la prima nel cinquecentesco palazzo Mordini ove sono ospitati l'Archivio, la Biblioteca ed il Centro Documentale e l'Area Espositiva, la seconda nel Parco Monumentale che ospita il gruppo bronzeo del generale Cialdini e la terza nell'area in cui si svolse la battaglia, ovvero nella selva a ridosso delle pendici di Colle Oro o Montoro. Nel contesto delle fonti materiche, questa ultima struttura è individuabile nell'area del combattimento (o linea del fuoco). La selva di Castelfidardo è anche area floristica protetta per le sue peculiarità botaniche e faunistiche.
Per questo aspetto Cfr. M. Coltrinari, La storica battaglia si svolse in località Colle Oro, in "Corriere Adriatico", Ancona, 2 settembre 1985.

(4) Cfr. generale Manfredo Fanti, Relazione sulla campagna di guerra nell'Umbria e nelle Marche, settembre 1860, Tipografia Scolastica di S. Franco, Torino, 1861.
(generale Enrico Cialdini), "Rapporto a S.E. il generale in capo sulle operazioni del IV Corpo d'Armata dall'11 settembre al 29 settembre", in M. Cellai, Fasti militari della guerra d'indipendenza, Milano, Tip. degli Ingegneri, 1883.
Per la parte pontificia, (C. De La Moricière), Relazione del generale De La Moricière al Pro Ministro per le Armi di S.S. Pio IX Mons. De Merode, in A. Alessandrini, I fatti politici delle Marche dal 1 gennaio all'epoca del plebiscito, Macerata, 1910, e M. Coltrinari, Le manovre che determinarono la battaglia di Castelfidardo, Italia Nostra, Castelfidardo, II Serie, 1992.

(5) Cfr. per il piano pontificio, oltre la citata relazione del generale De La Moricière, Ministero della Guerra Reale Corpo dello Stato Maggiore - Ufficio Storico, La Battaglia di Castelfidardo, Tip. del Genio, Roma, 1903.
F. Lecomnt, Italie en 1860. Esquisse des événements militaires et politiques, Tenera, Paris, 1861.
C. Cesari, Le guerre del 1860/61 e del 1870 per l'unità d'Italia, Edizioni Tiber, Roma, 1929.
G. Bozzolini, Le Forze Armate Sarde a Castelfidardo, Italia Nostra, Castelfidardo, 1984.

(6) Cfr. M. Coltrinari, L'attacco dei Pontifici, ore 9,20-11,50, n° 3 marzo 1983.
L'evento del 18 settembre 1860 ebbe il nome di "Battaglia di Castelfidardo dai vincitori sardi, che avevano il loro Quartier Generale a Castelfidardo. Secondo la versione pontificia questo avvenimento fu definito "Combattimento di Loreto" (Cfr. Il combattimento di Loreto", in Il Piceno, Ancona, sabato 22 settembre 1860, n° 75). Ad una attenta analisi l'avvenimento può definirsi di "Colle Oro", usando il nome del luogo ove si svolse; oppure "Del Musone" con riferimento al fiume attraversato dai pontifici; o "Delle Crocette", per indicare il punto da cui partì la controffensiva sarda; oppure, come lo definirono i pontifici, "Di Loreto" per questo ulteriore aspetto. Cfr. M. Coltrinari, Il fatto d'arme di Castelfidardo, in "Corriere Adriatico", Ancona, 22 settembre 1984, e P. Bertinaria, La battaglia di Castelfidardo, in "Rivista Militare dell'Esercito Italiano", Roma, 1985, n° 3, tesi sostenuta anche al Convegno "Castelfidardo tra Storia e Museo" (Atti, Italia Nostra, Castelfidardo, 1986).

(7) Per le figure del De La Moricière e del De Pomoda, cfr. E. Keller, Le Général De La Moricière: sa vie militaire, politique et religieuse, Paris, 1891, 2 vol.
M. Coltrinari, Il generale De La Moricière, una vita per la causa pontificia, in "Rivista Pio IX a. XX (1991), Editrice la Postulazione, Città del Vaticano, 1991.  
Gabriel De Pimodan, Vie du général De Pimodan, Champion, Paris, 1928.
M. Coltrinari, De Pimodan, generale di Pio IX, in Rivista Pio IX a. XIV (1985), Editrice la Postulazione, Roma, 1985.

(8) Cfr. A. Vigevano, Campagna delle Marche e dell'Umbria, Roma, Stabilimento Poligrafico dell'Amministrazione della Guerra, 1923, pag. 334. Si è fatto riferimento a questa opera per la descrizione primaria dell'evolversi degli avvenimenti del 18 settembre 1860. D'ora in avanti, citata solo come "Vigevano".

(9) I ricordi del generale Emilio Castelli - La condotta del generale Cialdini - Lettera ad un giovane clericale, in "Ai vittoriosi di Castelfidardo", numero speciale a cura del "Pocenum" autorizzato dal Comitato Pro Monumento, anno IX, Roma, settembre 1912.

(10) I rapporti dei comandanti in sottordine, anche sardi, sono riportati da varie fonti. Tutti quelli qui riportati si possono trovare in G. Pasquali Marinelli, De Pugna ad Castrumficardum, traduzione dal latino di Massimo Moroni, commento storico di Massimo Coltrinari, Camerano (Ancona), Cassa Rurale ed Artigiana, 1991, da pag. 138 a pag. 163.

(11) Tutte le citazioni di questo paragrafo sono tratte da Vigevano, da pag. 346 a pag. 355.

(12) I pontifici si ritirano su Loreto e il Cialdini dispose che le truppe assumessero la sera del 18 settembre un atteggiamento di vigile allerta. Predispose poi ordini per un attacco generale per l'indomani a Loreto.

(13) G. Finali, La battaglia di Castelfidardo, in Nuova Antologia di Scienze Lettere ed Arti, vol. 62°, Roma, 1896.
Cfr. inoltre L. Valerio, Le Marche dal 15 settembre al 18 gennaio 1861. Relazione al Ministro dell'Interno del Regno, Milano, Editori del Politecnico, 1861.

(14) A. Di Prampero, La Brigata Regina da Bologna per Castelfidardo a Gaeta - 1860-1861 - Diari, corrispondenza e ricordi, Udine, Doretti, 1910, pag. 10 e segg.

(15) Cfr. B. Orero, Da Pesaro a Messina - Ricordi del 1860-1861, Torino-Genova, R. Streglio, 1905, pag. 48 e segg.

(16) R. de Cesare, Roma e lo Stato del Papa - Dal ritorno di Pio IX al XX settembre 1850-1870, Milano, Longanesi, 1970, pag. 419 e segg.

(17) C. Pellion di Persano, Diario privato, politico, militare, Roux e Favale, Torino, 1880.
Inoltre cfr. Relazione della presa di Ancona dal lato del mare effettuata dalla regia squadra al Ministro della Marina S. Maestà Vittorio Emanuele II, in A. Alessandrini, op. cit., Macerata, 1910.

(18) C. Grillantini, Storia di Osimo, vol. II, dal 1800 ad oggi, Pinerolo, Scuola Tipografica Cottolegno, 1969, pag. 699-700.

(19) I ritagli di tali giornali sono stati rintracciati presso l'Archivio del Museo Centrale del Risorgimento al Vittoriano a Roma. Si ringrazia per la collaborazione il Direttore, Prof. A.M. Arpino.

(20) Sempre che i rapporti dei comandanti le compagnie del XXVI Battaglione Bersaglieri, le testimonianze pontificie, nonché i rapporti del Villamarina, nonché la versione del Vigevano, siano accettati.

(21) Esposta al Convegno di Studi Risorgimentali in occasione della celebrazione del 132° Anniversario della Battaglia, con il titolo "Un falso problema: il generale Cialdini era sul campo di battaglia di Castelfidardo?", Castelfidardo, 26 settembre 1992.

(18) P. Pieri, Storia Militare del Risorgimento, Torino, Einaudi, 1962, pag. 713 e segg.